Condividi con

FacebookMySpaceTwitterGoogle BookmarksLinkedinPinterest

Chi c'è online

Abbiamo 3567 visitatori e nessun utente online

L'angolo dello psicologo a cura della dott.ssa Ines Panessa

La devianza si esprime attraverso comportamenti imprevedibili che producono problemi sul piano sociale. Ciò significa che esistono delle norme di vario contesto (ad es. penali, sociali, culturali, di interazione e integrazione) che cercano di regolare i comportamenti allo scopo di contrastare quelli che non seguono il codice che regola i comportamenti umani. Successivamente studi più approfonditi e tecniche migliori, hanno smentito queste concezioni, affermando che il disturbo psicopatico è cruciale nel comportamento deviante di una persona, ma non sempre presente in quanto questi comportamenti sono solo un fenomeno circoscritto del più generale e complesso campo della criminalità. Ha un ruolo la psicologia in questo contesto?


Differenziare comportamenti comuni da quelli antisociali, questo è stato il contributo iniziale da parte della psicologia contro la criminalità, capire cosa fa scattare in un comportamento comune, l’agire deviante. Gli studi sui giovani delinquenti rilevano l’esistenza di una difficoltà di apprendimento riconducibile spesso a deprivazioni affettive e un difficile inserimento nella società, ciò comporta atteggiamenti violenti. Anche personalità delinquenziali sono considerate principi per una crescita deviante del giovane, basate da tratti specifici della personalità quali: immaturità, mancanza di adattamento, debolezza dell’ Io. La teoria della frustrazione – aggressività spiega una parte di tali comportamenti. Secondo tale teoria i giovani affetti da una minore capacità di tolleranza alle frustrazioni sfocerebbero in comportamenti devianti.
Davanti alla frustrazione ogni soggetto reagisce in modi diversi, attraverso le mediazioni cognitive ed emotive e se alla presenza di altre persone, egli percepisce l’evento frustrante con maggiore o minore assoggettamento.
Bisogno di sicurezza, bisogno di fare nuove esperienze, bisogno di avere risposte da parte degli altri e bisogno di ottenere dagli altri un riconoscimento; sono le fonti principali di un qualsiasi individuo secondo il sociologo Thomas, le quali frustrazioni favorirebbero comportamenti devianti. Anche S. Freud, padre della psicanalisi, si è offerto nello studio del crimine attraverso i propri mezzi a disposizione. L’essere umano è per sua natura antisociale e si adeguerebbe alle situazioni solo per convenienza o timore. Quando le soddisfazioni del proprio istinto (es) hanno la meglio sulla barriera posta dalla conformità sociale (Super – io) si hanno comportamenti devianti. In questo la formazione di un forte “Io” attraverso l’educazione imposta dai genitori, facilita una personalità positiva.

Questi sono esempi che dimostrano come la psicologia possa spiegare l’agire deviante, gli sviluppi successivi si sono un po’ allontanati da questa via, sostenendo l’idea che è impossibile differenziare il deviante dal resto della popolazione. Dimostrazione di ciò, è il criterio proposto da Ferracuti e Newman nel 1987 che individuano tre fattori:
1. interpersonali stabili (caratteristiche del soggetto immutabili, agire aggressivo conseguente a fattori innati o genetici)

2. interpersonali mutevoli (aspetti che emergono durante la maturazione dell’individuo, conflitti interni)
3. interpersonali (le relazioni sociali del soggetto, la famiglia e gli amici).

L’uomo è obbligato a relazionare con gli altri nella società odierna, è attraverso questo processo che acquisisce esperienza di se stesso in modo diretto e indiretto, basandosi su atteggiamenti e opinioni che gli altri hanno nei suoi confronti. L’interazionismo cerca di capire i meccanismi che producono la devianza che inciderà nella società, è una prospettiva che concepisce la devianza come il risultato di un processo interattivo tra: il soggetto che agisce – le norme che controllano tali azioni e sono pronte a definirle illecite – la reazione sociale a queste infrazioni – il continuo controllo sociale – il soggetto che deve riconsiderarsi dopo essere stato etichettato come pericoloso. In tutto ciò un ruolo importante lo svolgono le Istituzioni che interagiscono con il soggetto ormai delinquente, con il suo Sé cercando di non lasciarlo solo come se fosse un “animale randagio”. Una particolare tecnica psicologica che il soggetto in questione usufruisce per sfuggire al pugno della legge, è stata individuata e definita da David Matza come la tecnica di neutralizzazione della norma.
Essa consiste in forme di razionalizzazione dell’azione deviante, non giustificative, utili a colmare la distanza socialmente definita fra il comportamento ed i valori condivisi.
• la tecnica della negazione della responsabilità ( “lo fanno tutti”)
• la tecnica della minimizzazione del danno prodotto ( “tanto sono ricchi, avranno modo di rifarsi”)
• la tecnica del richiamo ad ideali più alti (“dovevo difendere la mia famiglia”).
Attraverso questi ed altri modi i soggetti cercano di evitare il rispetto della norma e la conseguente “punizione” pensando di crearsi un alibi morale.
Mario von Cranach, psicologo, individua tre dimensioni:
• il comportamento manifesto (le parti alle quali l’osservatore accede direttamente)
• la cognizione cosciente ( i processi mentali e i piani d’azione del soggetto)
• il significato sociale (le definizioni semantiche attribuibili alla situazione)
Questi ultimi controllano le cognizioni che orientano il comportamento. Durante l’azione tutte e tre interagiscono fra loro. Ogni azione è costituita da scopi e intenzioni, quindi chi agisce anticipa a livello mentale, sia gli effetti delle proprie azioni e le loro conseguenze per sé, sia il profilo dei significati sociali e le conseguenze rivolte agli altri.
Se è deviante l’atto che trasgredisce una norma, dobbiamo chiarire a quali norme facciamo riferimento. La norma va considerata nella sua doppia natura, come norma giuridica e norma sociale.
La prima è depositata nel sistema giuridico di uno Stato e gli individui hanno l’obbligo di rispettarla; la sua trasgressione viene attivamente repressa. Si attua così una sovrapposizione concettuale tra devianza e crimine.
La seconda si sedimenta nelle relazioni tra gli uomini, che tendono a privilegiare comportamenti omogenei, delineando i confini fra azioni “conformi” e “devianti”. In questo secondo caso, non abbiamo un diritto positivo che stabilisce le regole di conformità e sanziona i trasgressori, ma piuttosto un codice non scritto di ordine morale e culturale, condiviso dai componenti di una collettività.

In tal senso, la devianza potrebbe essere accostata al concetto di diversità. Il “diverso” è colui che adotta comportamenti “non allineati” alla maggioranza rispetto allo stile di vita, all’orientamento sessuale e in generale ai costumi ritenuti conformi.
Le cause della devianza non possono essere rintracciate né in fattori bio-antropologici, caratteriali o naturali, né in condizioni patologiche del sistema sociale; di conseguenza la devianza è un fenomeno normale, che si riscontra pressoché in ogni tipo di società

Durkheim attribuisce due funzioni sociali alla devianza: la prima per la quale definisce i confini tra comportamenti “buoni” e “cattivi”. Il reato lede i sentimenti collettivi, provocando una reazione sociale, che non fa altro che rafforzare la coesione del gruppo e la conformità alle norme. Nell’atto deviante, è la società la principale vittima.
In secondo luogo, la devianza ha una FUNZIONE ADATTIVA, ossia offre alla collettività una possibilità di trasformazione e rinnovamento sociali.
Gli atti devianti considerati come crimini legalmente sanzionati verranno repressi, mentre si mostrerà maggiore tolleranza verso altri tipi di comportamenti, anticipatori di un cambiamento nei costumi e di una morale futura.
Tuttavia, si può verificare una situazione in cui, oltrepassati certi limiti, i fenomeni devianti perdono il valore funzionale e acquisiscono un valore negativo. Ciò avviene nel momento in cui una struttura sociale entra in uno stato di disorganizzazione, dove regole e valori perdono di efficacia, perché un nuovo sistema sta avanzando, senza essersi ancora affermato.
Si crea così uno stato di anomia.
La devianza viene suddivisa in primaria e secondaria. La devianza primaria consiste in un allontanamento più o meno temporaneo e grave da valori o norme sociali e giuridiche, per mezzo di un comportamento che ha «implicazioni soltanto marginali per la struttura psichica dell’individuo; essa non dà luogo ad una riorganizzazione simbolica a livello degli atteggiamenti nei riguardi del sé e dei ruoli sociali» [Lemert 1981]
La devianza secondaria risponde direttamente non tanto ad una motivazione deviante del soggetto, quanto agli atteggiamenti di disapprovazione e isolamento che la società mette in atto verso l’individuo che ha trasgredito le norme.
La reiterazione di comportamenti devianti, dunque, sarebbe un meccanismo di difesa e di adattamento nei confronti della reazione sociale ricevuta.

Altri tipi di criminalità


La criminalità al femminile: i tassi sono significativamente inferiori (tesi di Pollak)

Reati contro gli omosessuali (“panico omofobo”)

Reati dei colletti bianchi: es. reati aziendali
(6 tipi: amministrativi, ambientali, finanziari, occupazionali, produttivi, commerciali)


Criminalità organizzata (legata ad affari di contrabbando, traffico di droga, armi, prostituzione, racket, ecc..)
I sodalizi criminali più strutturati in Italia sono cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e criminalità organizzata pugliese
Operano da diversi anni anche aggregazioni criminali costituite da cittadini stranieri, le c.d. nuove mafie, che presentano caratteristiche proprie a seconda dell’etnia di cui sono espressione (criminalità albanese, cinese, rumena, nigeriana, nordafricana…)

I reati informatici
- Intercettazione abusiva di comunicazioni
- Vandalismo elettronico
- Uso abusivo di servizi
- Violazione del diritto d’autore
- Pornografia e istigazioni alla violenza
- Reati economici telematici (frodi, riciclaggio di denaro, trasferimento elettronico di denaro…)


AFFERMAZIONE E PREVENZIONE DELLE CONDOTTE ANTISOCIALI E DEVIANTI

LA FAMIGLIA è il primo nucleo sociale in cui si muove il bambino. Ciò che impara in famiglia lo trasferisce poi negli altri contesti, a cominciare dalla scuola.
LA SCUOLA è la prima istituzione che il bambino incontra ed il rapporto che si verrà a creare rappresenterà il modello con cui in futuro il giovane e poi l’adulto instaureranno il loro rapporto con la società.

Un buon inserimento scolastico facilita anche un buon inserimento lavorativo ed un basso sviluppo di condotte antisociali e devianti. La scuola ha il compito di fornire informazione e cultura, ma anche un insieme di regole e di norme, adeguatamente esplicitate e motivate, la cui violazione deve essere seguita da sanzioni proporzionate e certe. Risulterà di primaria importanza promuovere l’assunzione di responsabilità che aiuterà poi il giovane a non lasciarsi coinvolgere dai comportamenti devianti o a rischio. La famiglia prima e la scuola poi devono sviluppare nel giovane le competenze sociali e comunicative, devono promuovere l’elaborazione di uno scopo personale, delle strategie per realizzarlo e la capacità di valutare le proprie prestazioni, la capacità di assumersi degli impegni e di esserne responsabili.

Dr. Ines Panessa –Psicologa- CTU presso il Tribunale di Foggia- Esperto in Psicologia Forense- Esperto in Counseling nelle Dipendenze Patologiche-