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Stato:

Italia

Regione:

Puglia

Provincia:

Foggia

Coordinate:

41°13′0″N 15°23′0″E/ 41.21667°N 15.38333°E

Altitudine:

620 m s.l.m.

Superficie:

75,65 km²

Abitanti:

4.001

 

Densità:

53 ab./km²

Comuni contigui:

Accadia, Ascoli Satriano, Bovino, Candela, Castelluccio dei Sauri, Sant'Agata di Puglia

CAP:

71026

Pref. telefonico:

0881

Nome abitanti:

Delicetani

Santo patrono:

San Benvenuto, Maria S.S. dell'Olmitello

Giorno festivo:

22 settembre

Deliceto è un comune di 4.001 abitanti della provincia di Foggia. Deriva dal latino ilicetum da ilex, -icis, ossia leccio. Fa parte della Comunità Montana  dei Monti Dauni Meridionali. Il toponimo "Deliceto" è di origine incerta. Secondo l'etimologia più diffusa, esso deriva da Iliceto, ossia bosco di elci (detti anche lecci o ìlici). Un elce è raffigurato anche nello stemma comunale. Non tutti gli storici concordano su tale etimologia, in quanto né a Deliceto, né nei dintorni vi sono o vi sono stati boschi di elci. Secondo lo storico locale Giuseppe Bracca, il toponimo potrebbe derivare dal latino delicies, ossia "delizie". Recentemente, Giuseppe Maria Nazzaro ne ha proposto la derivazione dalla locuzione latina Deo licet ("che piace a Dio").


TERRITORIO

Il comune si trova nel Subappennino Dauno meridionale, a circa 40 km da Foggia. Situato tra i 207 e i 951 metri sul livello del mare. Confina con Ascoli Satriano (Est), Bovino e Castelluccio dei Sauri (Nord-Est), Sant'Agata di Puglia (Sud), Candela (Sud-Est) e Accadia (Sud-Ovest). Il suo clima rispecchia quello dei comuni del subappenino, inverni freddi con nevicate al seguito si va molte volte al di sotto dello 0°C, ed estati fresche non si superano i 20°C.

STORIA

Deliceto ha origini antiche, risalenti con molta probabilità alla protostoria, età che vide riversarsi nella Penisola una molteplicità di gente da regioni indoeuropee. Il nucleo originario dovrebbe essere il rione "Pesco", fatto di grotte, scavate nel frontone dello sperone Elceto da popolazioni osco-italiche, nonchè insediarnento di un accampamento costruito dai Romani, nel luogo in cui oggi si trova il rione "Piazza alta". Il castro, nacque in una zona dove cresceva l'elce, per tale motivo venne detto "Elceto" da cui poi derivò il nome "Deliceto ". In età imperiale Deliceto non crebbe molto per via della posizione geografica che non favoriva i contatti con le grandi arterie stradali della Daunia. Si fortificò, più che ampliarsi, sotto i Longobardi, quando fu elevata a vedetta subappenninica del Ducato di Benevento. Nel XII secolo, quando i Normanni governavano l'Italia meridionale, divenne suffeudo prima della contea di Loretello e poi di altre. Stessa sorte sotto gli Svevi e gli Angioini. Divenne marchesato nel 1463 con Ferdinando I d'Aragona il quale si stabilì a Deliceto con una colonia di Albanesi, determinando l'ampliamento dell'abitato. La corte marchesale ebbe sede lungo l'asse viario principale ("corso Margherita") e comprese i palazzi Piccolomini (oggi D'Ambrosio) e Apotrino (oggi De Maio); la chiesa del Purgatorio (oggi di "Sant'Anna e Morti") e l'Abbazia di san Nicola (odierna chiesa dell'Annuziata). Gli albanesi si stabilirono a settentrione della corte in blocchi di case monovane, separate da digradanti stradine. Il popolo delicetano si sentì sommamente onorato di avere alla sua guida il nipote del Sommo Pontefice Papa Pio II, e chiamò la sua dimora "Palazzo del Papa". Sotto i Piccolomini, nel XV secolo, sorse il convento di "Santa Maria della Consolazione", in località "Valle in Vincoli" su richiesta del monaco agostiniano Felice da Corsano. Il feudo di Deliceto, pur restando sempre un bene di natura demaniale, passò dai Piccolomini ai Bartirotti e da questi ai Miroballo, casate imparentate tra loro. Ai Bartirotti si deve la costruzione del palazzo oggi chiamato palazzo Maffei. L'ultimo marchese di Deliceto fu Cesare Miroballo, che morì senza eredi nel 1790. Con la sua scomparsa il castello e le terre ad esso annesse passarono al Fisco e Deliceto divenne "Città Regia". Ai Moti insurrezionali del 1820-21 alcuni Delicetani parteciparono con ardore, convinti della necessità di dare al Regno delle Due Sicilie una monarchia costituzionale; a quelli del '48 buona parte del popolo insorse per reclamare i propri diritti alla spartizione delle terre feudali ed ecclesiastiche. Dopo l'Unità d'Italia, con il dilagare del brigantaggio nel Mezzogiorno, le campagne delicetane vennero spesso assalite da bande malavitose e fatte oggetto di saccheggi, incendi, furti e sequestri di persona. L'acceso nazionalismo del primo Novecento rese orgogliosi i giovani delicetani di partecipare alla Prima Guerra Mondiale e di combattere per l'annessione di Trento e Trieste sottomesse all'Austria. Meno sentito fu l'intervento alla Seconda Guerra Mondiale della quale non si condividevano le finalità.

 

GONFALONE

MONUMENTI

Il Castello Normanno-Svevo


Il castello normanno, costruito intorno al 1100, che domina dall'alto una profonda gola. La sua nascita risale alla seconda metà del IX secolo, cioè in età longobarda. Ha subito nel corso dei secoli ampliamenti, rifacimenti e ricostruzioni, che si sono protratte fino al periodo aragonese.
Situato in un posto strategico, la cui posizione facilita l’osservazione e la difesa, ha avuto per molti secoli la funzione di una fortezza di grande importanza militare, più che essere stabile dimora nobiliare.
Il castello spicca per l'alta e imponente torre a base quadrata, l'ingresso principale  è posizionato dalla medesma parte, che un tempo affacciava sul fossato con il ponte levatoio, oggi sostituito da una rampa. Sul retro si ergono altre due torri circolari.Il castello oggi presenta una forma diversa dall’originale, quella cioè di un trapezio irregolare con tre torri agli angoli, mentre anticamente doveva avere la forma triangolare. Tutta la costruzione è costituita da pietre calcaree prese nelle contrade circostanti e legate tra di loro secondo un intreccio irregolare. Le volte e gli archi interni sono costruiti in mattoni color ocra, anch’essi provenienti da fornaci locali. Il castello non presenta elementi decorativi ed architettonici caratteristici. La cortina N.E., che misura 55 metri di lunghezza, è incastrata tra le torri tronco-coniche del “Molo” e del “Parasinno”, entrambe costruite durante la dominazione angioina; la cortina Est, che edificata a filo di roccia sul precipizio de “la Ripa”, strapiomba sul sottostante torrente Fontana, ha una lunghezza di 66 metri. E’ costruita a forma di scarpata, ed inizia dalla suddetta torre “Parasinno” per arrivare fino all’estremità occidentale terminante a spigolo.Le altre due cortine, le più brevi, si incrociano con la torre Normanna, il “Donjon” o “Torrione”.
L’ingresso è sormontato da uno stemma calcareo di forma rettangolare dei Piccolomini d’Aragona, risalente al 1444. L’interno del castello è occupato da un grandioso cortile o piazza d’armi costruito in mattoni disposti a spina di pesce e da ciottoli di forma irregolare. Al centro vi è una cisterna di forma ottagonale, che serviva per la raccolta dell’acqua piovana. Sotto la pavimentazione del cortile sono state scoperte due “neviere”. Sulla destra,immediatamente dopo l'ingresso, vi è una lunga scalinata in pietra  che immette in un sotterraneo lungo e buio, dove prima vi trovava collocazione la scuderia, magazzino e cantina. Proprio in questa zona durante i lavori di restauro è stata scoperta la parte più antica del castello risalente al IX secolo, costituita da “Domus” o “Castra Longobarda”, che ha una lunghezza di circa 50 metri. Costruita a due piani sovrapposti con due porte d’ingresso ad archi a tutto sesto e stipiti in pietra serena. Erano rivolte l’una verso l’abitato e l’altra verso la torre “Parasinno”.
Nel piano superiore c'erano gli alloggi del feudatario composti da sei stanze intercomunicanti, la cappella in cui vi erano conservate le statue di santa Barbara, protettrice dell’artiglieria, e di san Vito, patrono della rabbia. Le due statue sono conservate nella chiesa di san Rocco.
Proseguendo sempre verso destra, ci si trova dinanzi ad un portale sormontato dallo stemma di Alessandro Miroballo d’Aragona, marchese di Deliceto. Dopo il primo portale c'è un'altro sempre in pietra, che mostra chiaramente nei due angoli in alto una “mezzaluna”, simbolo dei Duchi Longobardi di Benevento. Questo portale conduce nell’aula magna del castello, molto ampia e piena di luce. Al centro della sala, lungo la parete destra, c'è un camino e sulla cappa riporta lo stemma dei Bartirotti, datato 1602.
Si arriva al termine della cortina, dove si trova la torre tronco-conica, detta del “Parasinno”. Li c'erano le prigioni e uno strumento di morte chiamato “Mulino a rasoio”, che doveva servire a punire e ad eliminare chi fosse caduto in disgrazia del feudatario. In alcuni locali della torre si possono ancora notare, incise sull’intonaco, croci benedettine e latine, il sole, scudi recanti scritte, mani, foglie, nonché iscrizioni redatte in lingua italiana, latina e greca. Di fianco della cortina orientale, ci sono gli alloggi degli ufficiali e dei militari.
Nel piano inferiore vi è un lungo androne, con tante finestre lungo la parete esterna, che funzionava da deposito, ed era preceduto da uno stanzone con caratteristiche volte a vela in mattoni color ocra d’epoca angioina.
Nella parte più alta della cortina c’è un camminamento di ronda, che conduce alla torre tronco-conica detta del “Molo”, che prende il nome dal rione sottostante. Alla sua base, dal lato interno si può notare un semiarco gotico risalente al primitivo portale del periodo normanno, che era l’antica porta d’accesso al castello.
Questo tratto fu l’unico, secondo Bracca, ad aver subito nei secoli uno sfondamento da parte dei Saraceni, perché era quello più facilmente accessibile e vulnerabile. A partire da qui verso il torrione, si distende l’ultima cortina del castello, quella settentrionale. Dalla parte interna del cortile si snoda una serie di arcate, l’arco maggiore serviva di ingresso al forno, mentre gli altri davano adito a piccole stanze, che erano destinate ad usi diversi. Al termine della cortina, si erge maestosa la “Torre Normanna”, cioè il Mastio, detto volgarmente il “Torrione”, perché la più alta di tutte. Ha forma prismatica a pianta quadrata e misura un’altezza di circa trenta metri. Ha gli angoli scolpiti con pietre bugnate, pareti molto spesse e solidamente cementate. La torre, orientata verso il paese, anticamente era circondata da un fossato con relativo ponte levatoio, che ne impediva l’accesso agli eventuali assalitori. E’ suddivisa in quattro piani a vani sovrapposti, due con volta a sesto acuto e due con il relativo pavimento in legno. Venne costruita sulle fondamenta di una preesistente torre longobarda. Il piano interrato, era adibito a deposito viveri e aveva una cisterna coibentata per la raccolta dell’acqua piovana, che serviva da approvvigionamento in caso di assedio o di guerra.Il piano terra, al quale si accede tramite una botola del pavimento, per lungo tempo è stato adibito a carcere. Il piano sovrastante, a volta gotica, era diviso in due settori da un solaio in legno ed era in origine l’abitazione vera e propria del feudatario. Ad esso si accedeva tramite l’unica porta d’ingresso che, in caso di pericolo, veniva chiusa dall’interno tramite argani o funi. Conserva ancor’oggi gli originali camini in pietra ed incassata nel muro che porta alla sommità della torre, da dove lo sguardo spazia all’infinito. Sia sopra la porta d’ingresso della torre, sia sopra la seconda finestra della stessa, quella che guarda verso il paese, sono incastonati nel muro due stemmi identici scolpiti in arenaria e con la stessa tecnica, di cui uno più abraso e rovinato dalle intemperie. Essi rappresentano un fiore, forse un giglio, composto da sei corolle e da un bocciolo centrale, collocati lì dai primi feudatari. Sulla scia degli eventi storici del sud il castello fu dato in concessione a signori appartenenti alle seguenti casate: gli Altavilla, i Loretello, i De Caprosia, i De San Giorgio, gli Acciaroli, i De Sangro, i Piccolomini, i Bartirotti e i Miroballo.L’ultimo ad abitarlo è stato il marchese di Deliceto Cesare (Francesco) Miroballo, che morì in giovane età nel 1790. Successivamente il maniero venne incamerato dal Demanio comunale e subendo alterne vicende finì col ridursi in pessimo stato di conservazione, tanto da essere adibito a deposito di paglia, legna, ecc.Agli inizi degli anni ’50 fu sottoposto a lavori di restauro conservativo, che gli hanno dato la forma e l’aspetto attuale.


LUOGHI DI CULTO

Cappella della Madonna di Loreto

Situata in contrada "Scarano", fuori dall'antica cinta muraria, venne costruita tra il 1532 e il 1539 con il contributo del marchese Antonio II Piccolomini e del popolo di Deliceto per permettere agli Albanesi, giunti in paese nella prima metà del XVI secolo, di poter celebrare la loro liturgia secondo il "Rito Greco". Così venne chiamata "Cappella della Madonna del Rito Greco", da cui ebbe origine l'espressione popolare: "Cappell' r' la Maronn' r' lu Rit'".
L'interno è costituito da un altarino addossato al muro, sovrastato da un quadro raffigurante l'immagine di una Madonna con Bambino, diversa da quella tradizionale della Madonna di Loreto. L'esterno della cappella, sotto il livello della strada che la fiancheggia, vi è un ossario che raccoglie le spoglie degli appestati del XVI secolo. Accanto alla chiesetta venne contemporaneamente eretto un ospedale civico che dava asilo ai pellegrini diretti ad altri santuari. Ogni anno l'8 settembre, in ricorrenza della Natività della Madonna, si celebrano nel piazzale antistante funzioni religiose e giochi popolari.

Cappella di Sant'Antonio

Fondata nel XVI secolo con l'attiguo palazzo Bartirotti, venne menzionata in vari documenti del '500 e '600. la chiesetta dedicata a "Sant'Antonio Abate", per distinguerla dall'altra di Sant'Antonio da Padova, è detta "extra moenia", venne chiamata "Sant'Antonio alla Piazza".Fu restaurata e divenne cappella privata dei signori Maffei. Attualmente è chiusa al culto.

Chiesa dell'Annunziata

E' la chiesa più antica per costruzione e per forma architettonica del paese. Strutturata in tre navate con bellissimi archi gotici, costruiti in pietra rosata e fregiata di stemmi ed incisioni. L'inizo della costruzione, con l'attigua abbazia, risale al periodo Carolingio-Longobardo, cioè al IX secolo. Nel documento più antico, conservato nel suo archivio e risalente all'anno 1235, la chiesa viene chiamata "San Nicolai (San Nicola) in Escleta".
All'inizio del 1200, a causa dell'incuria dei monaci cassinesi che l'amministravano, fu fatta ricostruire in stile gotico dal vescovo di Bovino, Pietro I. Nel 1400 venne di nuovo rifatta e restaurata in stile diverso dal gotico, perdendo in parte la sua caratteristica originaria. Nell'anno 1515 con papa Leone X, fu sottratta con l'annesso conventino all'abbazia di Montevergine, da cui dipendeva, e ceduta all'Ospedale dell'Annunziata di Napoli, da cui ne derivò anche l'attuale denominazione con il relativo culto. Durante la battaglia di Lepanto del 1751, in cui fu istituito il culto della Madonna del SS. Rosario, venne fondata la "Congregazione laicale del SS. Rosario" con il relativo altare maggiore, a cui si aggiunse l'altare del SS. Sacramento.
Il convento adiacente venne distrutto con la soppressione delle corporazioni religiose, avvenuta nel 1811, da parte di Gioacchino Murat, e tutti i suoi beni devoluti alla Consolazione.
Nel 1930 dopo il violento terremoto, tutta la volta e le coperture furono rifatte con uno stile differente e poco intonato alla precedente costruzione. Lungo la navata sinistra sono conservati: un crocifisso ligneo del '600, la statua di San Leonardo proveniente dall'omonima chiesa, ora scomparsa, una statua della Madonna Addolorata e, a fondo navata, un'immagine della Madonna di Montevergine, a ricordo dei Verginiani a cui la chiesa appartenne. Lungo la navata di destra è posta, un'antichissima acquasantiera con pesci scolpiti all'interno, poggiante su colonna d'epoca imperiale, una tela raffigurante il Beato Vescovo di Bovino mons. Antonio Lucci, datata 1748, opera del pittore Domenico Caso, e le statue dell'Annunciazione con l'Arcangelo Gabriele, di San Michele Arcangelo e di Santa Filomena. Sopra l'altare maggiore, c'è la statua lignea settecentesca di Maria SS. del Rosario, cui è dedicata la Congrega.
Sulla facciata esterna principale, vi fu collocato un "quadrato magico", un raro reperto litico dell'età paleocristiana, presente anche negli scavi archeologici di Pompei, donato dal cittadino Francesco Paolo Di Taranto. E' in sostanza un "polindromo", che possono essere lette sia in un verso che nell'altro. Anagrammato da più studiosi racchiude, secondo alcuni di essi, due volte le parole "Pater Noster", poste a forma di croce con l'avanzo delle lettere "A e O", che dovrebbero corrispondere alle lettere greche Alfa e Omega, a ricordare Cristo, Inizio e Fine di ogni cosa.
In passato la chiesetta era denominata la "Civica" perchè, a partire dalla metà del XV secolo, il popolo di Deliceto era solito tenere al suo interno, nelle grandi occasioni, assemblee generali e parlamento.

Chiesa di San Rocco

Sorta nel 1656, dopo un'epidemia di peste, sulle basi di una cappella preesistente, fu dedicata a San Rocco, patrono degli appestati e alla Madonna del Carmine. Composta da un'unica navata lunga 16,8 metri e larga 5,8. Sulla sinistra si può osservare il fonte battesimale con la scritta che ricorda la figura del precursore di Cristo. Più avanti c'è la cappella dedicata al santo titolare, costruita sull'area di un'antica casa di proprietà della confraternita ed aggiunta al restante corpo della chiesa nel 1920. All'interno si venera la statua del santo, seguita da due nicchie contenenti rispettivamente i simulacri di San Giuseppe Lavoratore e della Madonna del Carmine. Quest'ultima è un'apprezzabile opera artistica del '700.
In fondo, si può ammirare un mosaico costruito nel 1987, che raffigura San Rocco che invoca sui malati l'intercessione della Madonna presso Dio. Sulla destra si trova la statua di Santa Lucia vergine e martire e quella di Santa Barbara, proveniente dalla cappella del castello.


Chiesa di Sant'Anna e Morti

La chiesa, di "Sant'Anna e Morti", sorge dove c'era la quattrocentesca chiesa del Purgatorio, voluta nel 1865 dall'"Arciconfraternita dei Morti", per celebrare messe in suffragio dei defunti.
Costruita in stile barocco ad una sola navata, termina con l'abside fiancheggiata dalla sagrestia e dall'oratorio. Lungo la parete sinistra si possono ammirare alcune statue di valore storico-artistico: San Giuseppe, San Luigi Gonzaga, San Gerardo Maiella, Santa Fausta e San Vincenzo martiri. L'ingresso della sagrestia custodisce una grande tela del '600, raffigurante "Le Anime del Purgatorio". La parete di destra, invece, ospita le statue dell'Immacolata Concezione e della Madonna Addolorata, le palme reliquiarie dei santi martiri Valentino, Pretestato, Saverio, Benedetto, Pio e Clemente, un Crocifisso ligneo con reliquie di santi e una grande tela con una pregevole cornice dorata, copia della Madonna bizantina della Madia, di Monopoli (BA).

Sull'altare maggiore c'è la settecentesca statua di Sant'Anna.


Chiesa matrice o del Santissimo Salvatore

Situata nel cuore del centro storico, la chiesa è nata prima delle altre. Risale al VII-VIII secolo, tempo in cui si stabilirono a Deliceto i Longobardi e vi impiantarono una loro corte con una chiesa dedicata a S. Salvatore. Viene citata in un documento appartenente ad Arechi II duca di Benevento dal 758 al 778, che la donò all'abbazia di Santa Sofia di Benevento. Quel tempio, di presumibile stile romanico, fu nel corso dei secoli più volte rimaneggiato, finchè non venne abbattuto del tutto nel 1744 per cedere il posto all'attuale, che vide la luce solo nell'anno 1800 a causa delle continue interruzioni dei lavori.
La facciata principale, a due ordini, è formata da una dinamica superficie convessa che riduce, illusoriamente, la distanza tra le ali. Su di essa si trova l'accesso un portale incorniciato di lesene e frontoni che poggia su una scalinata rettangolare a due branche simmetriche.
L'interno presenta una pianta a croce latina a tre navate. Nella crociera s'innalza la cupola che precede l'abside ornato di un bel coro ligneo. Un cornicione separa l'ordine inferiore, rappresentante la sfera umana, da quello superiore, simbolicamente considerato la zona del divino. In questa si aprono otto finestroni ornati da vetrate istoriate nella direzione dei quattro punti cardinali, sia per evidenziare l'onnipresenza di Dio, sia per creare quel piacevole gioco di chiaroscuro, tipico dell'architettura barocca. La vetrata del finestrone centrale, che sovrasta l'abside, raffigura il Salvatore. Le cappelle, appena illuminate da finestrelle strombate all'esterno hanno tutte una cupoletta, ornata di fiorami e festoni dorati. Ci sono cornici a stucco, riproducenti le linee della facciata principale, o un dipinto o una statua.
Nella prima cappella di destra c'è la tela della "Madonna del Carmine con le anime del Purgatorio", nella seconda "La Pentecoste", datata 1639.
Nella prima cappella di sinistra ci sono le statue di "Gesù morto" e dell'"Addolorata" nella seconda quella di Santa Rita. Nel braccio di sinistra del transetto si ammirano il dipinto del "Martirio di San Mattia Apostolo" collocato su un altare di marmo bianco, e la statua del "Sacro Cuore di Gesù", posta su un altarino di marmi policromi, proveniente dalla "Stanza di S. Alfonso" del Convento della Consolazione. Nella navata di destra spiccano il dipinto del "Beato Benvenuto" in preghiera e la statua della "Madonna dell'Olmitello", collocati rispettivamente su un altare di marmo bianco e su uno di marmi policromi. Nell'abside campeggia l'altare maggiore formato da un tavolo in marmo, preceduto da una mensa eucaristica. La porta secondaria della chiesa si apre sulla facciata di destra dove c'è una scritta in latino  La torre campanaria è la stessa della vecchia chiesa e risale quindi al XIV sec.
Divisa in tre piani conserva in quello centrale l'orologio.

Convento e Chiesa di Sant'Antonio

Venne costruito all'inizio del XVI sec. (1510) su un terreno donato dal marchese delicetano, Giambattista Piccolomini, alla locale comunità francescana, che antecedentemente abitava in un altro convento fatiscente, situato fra le odierne vie Fontana Nuova e san Rocco e che, a causa di un'invasione di termiti e formiche, dovette essere abbandonato, con un panorama che abbraccia un vastissimo territorio.
Dell'attuale edificio prima venne costruito il convento e messo a disposizione dei Frati minori osservanti nel 1521, a seguito di un consenso emesso da papa Leone X il 6 luglio di quello stesso anno, e poi il tempio ultimato solo nel 1660 come si legge nella seguente iscrizione posta sul frontale d'ingresso della chiesa: "Templum Divo Antonio Dicatum Anno Domini MDCLX".
La chiesa era chiamata gentilizia, perchè di quel luogo di culto i marchesi locali ne erano i benefattori e i protettori, e perchè in essa godevano di alcuni privilegi: avevano un loro "seggio d'onore", ricevevano i sacramenti del Battesimo e del Matrimonio, ed infine venivano tumulati vicino all'altare maggiore. Attualmente nel "coemeterium" oltre ai frati sono sepolti la marchesa Giovanna Bartirotti, il suo tutore Alessandro Miroballo, Rinaldo nobiluomo napoletano e maestro dei cavalieri del re Carlo II e la marchesa Anna Miroballo, moglie di Rusco di Savona. I figli di san Francesco sono rimasti nel convento di sant'Antonio ben 290 anni, fino al 1811, anno in cui avvenne la prima soppressione degli ordini religiosi per mano di Gioacchino Murat. La chiesa di Sant'Antonio annessa al convento, costruita in stile barocco, è a tre navate con sei cappelle laterali tenute e curate dai notabili del paese anche dopo la scomparsa dell'ultimo marchese. La cappella di sinistra è dedicata a san Pasquale, la seconda dedicata all'Immacolata Concezione e la terza di sant'Alfonso Maria de' Liguori. Dall'altra parte la prima di destra è dedicata a san Diego, la seconda è ornata da un quadro dipinto da Benedetto Brunetti nel 1646 raffigura la Madonna Addolorata tra san Francesco e papa Pio II, la successiva dedicata a san Francesco e l'ultima, posta in fondo alla navata destra, dedicata alla Madonna della Neve.
Sul basamento dell'altare maggiore vi sono scolpiti in bassorilievo due stemmi uguali, in marmo policromo, raffiguranti le insegne di Francesca Bartirotti d'Aragona e del marito Cesare Miroballo, apposti là nel 1626 in occasione delle loro nozze. Sopra l'altare maggiore, racchiusa in una nicchia a muro, vi è la preziosa statua lignea di sant'Antonio da Padova, di stile spagnolo, che indossa una splendida veste tutta intarsiata di fiori, che si stagliano su un fondo di oro zecchino. Sotto la volta è dipinta l'immagine dell'Immacolata Concezione Sul coro della chiesa è conservato, in ottimo stato, un bellissimo organo a canne, opera di Domenico Antonio Rossi, organista della Regia Cappella di Napoli, datato 1775. Sia sul portale d'ingresso della chiesa che su quello del convento è scolpito in pietra lo stemma dei Redentoristi.
Nel 1981 il vecchio portone di legno della chiesa fu sostituito da un nuovo portone in bronzo. Sulle formelle delle due ante inferiori della porta sono scolpiti i miracoli operati da sant'Antonio, mentre sui registri superiori la SS. Trinità e l'estasi del Santo. Il convento, di forma quadrata, non si distacca molto dalla classica struttura conventuale. Possiede un chiostro con portici a due piani con una cisterna al centro. L'edificio conta una trentina di vani, di cui ventitre celle conservano la loro originaria struttura. Un'ampia scalinata mette in collegamento i due piani. I frati per accedere alla chiesa attraversavano una piccola porta situata sotto il campanile, che attualmente risulta murata.
Al piano terra vi erano i locali adibiti a refettorio, a deposito, a cantina e a stalla. Fino a qualche anno fa il convento era la sede locale del Comando della Stazione Carabinieri