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Stato:

Italia

Regione:

Puglia

Provincia:

Foggia

Coordinate:

41°48′0″N 15°10′0″E/ 41.8°N 15.16667°E/ 41.8; 15.16667

Altitudine:

295m s.l.m.

Superficie:

143,06 km²

Abitanti:

4.186


Densità:

28,3 ab./km²

Comuni contigui:

Chieuti, Lesina, Rotello (CB), San Martino in Pensilis (CB), San Paolo di Civitate, Torremaggiore

CAP:

71010

Pref. telefonico:

0882

Nome abitanti:

Serrani

Santo patrono:

San Mercurio

Giorno festivo:

5 settembre

Serracapriola è un comune italiano di 4.186 abitanti. Fa parte del Parco Nazionale del Gargano. E' un composto da serra - monte - e capriolo in riferimento alla numerosa presenza di questo animale in loco.


 TERRITORIO

Il comune è ai confini con il Molise: sorge ad oltre 300 m.s.l.m., ai piedi dell'appennino apulo-molisano. Confina con Chieuti, Lesina, Rotello (CB), San Martino in Pensilis (CB), San Paolo di Civitate, Torremaggiore. Il suo clima è abbastanza mite con inverni freschi di 3 C° ed estati tiepide di 26 C°.


 STORIA

Sul nome di Serracapriola esiste anche una leggenda: si narra che un conte intento nella caccia inseguì un capriolo che lo condusse in un piccola grotta dove con stupore notò un altare con una bellissima immagine raffigurante la Madonna. Gli abitanti costruirono in onore della Vergine una chiesetta, Santa Maria in Silvis, ed accanto ad essa diedero vita al centro abitato, che dalla leggenda, prese il nome di Serracapriola. La costruzione più antica del paese è il castello costruito nell’XI secolo, in piena dominazione federiciana – sveva. Dopo diverse vicissitudini, la città fu ceduta ai Benedettini dell’abbazia di Montecassino, che, nel 1100, vi stabilirono la propria residenza, fu successivamente infeudata a più nobili famiglie, tra cui gli Sforza, i Guevara e i Maresca. Epicentro della costruzione la torre ottagonale con pianta a stella che fungeva da vedetta, alla cui sommità si accedeva con una scala a chiocciola. La torre, nel corso del XVI e XVIII secolo fu ampliata e ora si presenta a pianta quadrata con quattro torrioni agli angoli. Dell’antico fossato, profondo una decina di metri, sono ora visibili solo alcuni resti nel versante occidentale. All’interno del cortile c’è quello che nella tradizione popolare ha soprannominato “il trabocchetto”, un’ampia e profonda apertura mai esplorata. La legenda narra che la profonda voragine fosse un ingegnoso meccanismo in grado, tramite una ruota dentata in continuo movimento, di triturare le ossa di chi vi cadeva dentro. Il piano inferiore, tuttora abitato e in buone condizioni di mantenimento, è ricco di ampi saloni (notevole è la cosiddetta “Sala del Trono”) e camminamenti che scorrono lungo il perimetro del castello e che danno all’esterno su panorami che si estendono a perdita d’occhio e all’interno su un bel cortile in pietra, pulito e luminoso. Sul corridoio meridionale, in corrispondenza di una finestra murata ben visibile dall’esterno, si apre una cappella con un piccolo altare, la cui creazione è legata ad un triste fatto di cronaca accaduto intorno al 1716, quando padrone del castello e del feudo di Serrracapriola era un signorotto di nome Giovanbattista, figlio naturale di Cesare Michelangelo D’Avalos-D’Aragona. Dalla piazza antistante il castello, si snoda la Via del Borgo, un grande viale alberato a tre corsie, opera di Nicola Maresca, primo duca di Serracapriola. La chiesa più antica del paese è Santa Maria in Silvis, edificata qualche anno dopo il castello. Distrutta dal terremoto dell’anno 1629, fu ricostruita in cotto da Donato Gentile Quantulano; dell’antica struttura è oggi visibile soltanto l’antico portale architravato in pietra. La facciata è a capanna con cupola rettangolare, mentre l’interno è a tre navate con cupola. In fondo alla navata centrale si erge l’altare, e alle sue spalle, il coro e il quadro della Madonna. Tra le opere principali il quadro della Madonna Santa Maria in Silvis dell’anno 1534 e la tela dell’Annunciazione, del XVIII secolo. Di grande evidenza è la chiesa di San Mercurio costruita nell’anno 1630, dopo essere stata distrutta dal terremoto, è oggi considerata la più bella di tutta la diocesi. Al suo interno, tre navate con transetto, cupola, capolino e coro, con molteplici altari patronali con annesse reliquie di santi. Presenti anche la chiesa di Sant’Antonio Abate, costruita interamente in cotto, e oramai sconsacrata, e la chiesa di Sant’Anna con la sua facciata quadrata e due ordini di resene, grandi nella parte inferiore e, nane in quella superiore. La chiesa e il convento di Sant’Angelo furono fondati extra menia nell’anno 1436, furono ampliati nel corso del settecento con la costruzione dell’infermeria, della libreria, dei dormitori, e del giardino recintato, unico ad essersi conservato intatto insieme alla tomba del predicatore Tommaso D’Avalos, fratello del Marchese di Vasto. La chiesa ed il convento di Santa Maria delle Grazie, arricchiti e rimaneggiati nel corso dei secoli, furono fondati nel 1536: dall’originale stile seicentesco, conserva ancora il piccolo ed elegante chiostro porticato, la porta lignea e la tavola raffigurante la Madonna delle grazie, da Francesco da Tolentino. Serracapriola venne attaccata e distrutta dai Turchi nel 1566. Un altro triste evento colpì il paese nel 1627, quando la città fu quasi rasa al suolo da un forte terremoto. La sua storia ha seguito quella del resto della regione, assoggetta a diverse dominazioni fino all’ingresso nell’Italia unita, nel 1861.

 

GONFALONE

Il gonfalore di Serracapriola rappresenta l’evento storico di costituzione del centro abitato, come da legenda. Si narra che un conte intento nella caccia inseguii un capriolo che lo condusse in un piccola grotta dove con stupore notò un altare con una bellissima immagine raffigurante la Madonna. Di qui la presenza degli alberi, rappresentanti la foresta, ed il capriolo. Sullo sfondo, è posizionata la torre originaria inserita in un più ampio intervento, nell’attuale castello.

 


MONUMENTI

CASTELLO

Il fulcro centrale della cittadina è il Castello che, secondo la planimetria dell’antico borgo Serrano, doveva essere situato nel punto più alto della collina e lievemente distante dalle altre abitazioni.
Esso si sviluppa intorno al mastio ottagonale costruito intorno ai primi decenni del XIII sec, dunque in piena dominazione federiciana - sveva. Si tratta di una fabbrica realizzata con basamento a scarpa, come tutto il resto del castello, realizzato con opus incertum, e sovrastata da mattoni disposti in orizzontale che si alternano con un ritmo costante a due filari di mattoni disposti a spinapesce.
Con tali stratificazioni, si ritiene che i costruttori abbiano raggiunto ottimi risultati sia formali (l’effetto è davvero spettacolare) che costruttivi nella struttura di difesa muraria.
Alla sommità della torre si accede tramite una scala a chiocciola, di magnifica fattura, in legno così stretta da potervi salire una persona alla volta.
Alla torre stellata, si aggiunse poi in un tempo databile fra il XIV secolo ed il 1635 (data che segna l’ingresso dei d’Avalos), il corpo vero e proprio del castello di forma rettangolare ai cui spigoli sono posti i torrioni circolari decorati da archetti e da beccatelli d’origine lombarda.
In questa fabbrica lo spigolo del mastio che dava all’interno è stato come tagliato per dare posto ad un cortile cinquecentesco. La storia narra di una profonda voragine con il nome di "il trabocchetto" che il De Leonardis descrive come un artificioso meccanismo con una ruota dentata che girava continuamente ed era capace di triturare, in pochi minuti, le ossa di chi vi veniva spinto; aggiunge inoltre che furono proprio i duchi Maresca a far tappare quell’imbuto capovolto per chiudere la pagina di terrore vissuta dai serrani sotto i d’Avalos.
Il De Luca afferma, nel 1915, che tale voragine sia ancora visibile e si possa identificare o in un pozzo, oppure in un passaggio sotterraneo, che in caso d’assedio, congiungesse il centro del castello con la valle sottostante; in ogni caso nessuno sa con precisione dove si trovi, anche perché molti ambienti sotterranei, a detta dell'architetto Conforti, non sono raggiungibili a causa di porte murate.
L’intera opera riprende la classica forma a testudo studiata dai trattatisti d’Architettura civile e militare come Francesco Di Giorgio Martini (il quale sapeva che le forme poligonali si adattano meglio alla difesa), e le idee formali come Sforzinda, opera del Filarete. Intorno a tutto il perimetro del castello c’era anche un fossato, profondo circa una decina di metri, oltrepassabile attraverso due ponti levatoi, l’uno in corrispondenza del portale nord e l’altro, in corrispondenza del portale sud.
Il fossato è, sul lato occidentale del castello, ancora visibile, il resto fu ricoperto e occupato dalle cantine di alcune abitazioni.
L'ampio portale è caratterizzato da un arco - a sesto appena ribassato - che s'imposta su due massicci stipiti. L'assieme è ornato di fregi floreali, a sbalzo. La trabeazione, coronata da una cornice aggettante tripartita, è abbellita di triglifi e campanelle. Sulla chiave dell'arco campisce lo stemma gentilizio dei Conzaga, feudatari di Serracapriola (1535-1635). La porta, la cui architettura è da ascriversi ai tempi della dominazione spagnola, era protetta da ponte levatoio che scavalcava il fossato difensivo su cui si affacciava.


LUOGHI DI CULTO

Il Convento e la Chiesa di Maria SS. delle Grazie

Il Convento, che dista circa 1,5 Km. dalla piazza principale del Centro Storico, fu fondato nel 1531. La Chiesa, costruita contemporaneamente al convento, fu consacrata alla Vergine delle Grazie, di cui troviamo, sull'altare maggiore, il simulacro. In seguito alla legge per la soppressione degli Ordini Religiosi, emanata da Gioacchino Murat il 7 agosto 1809, fu chiuso nel 1810 e riaperto nel 1817 col ritorno dei Borboni a Napoli. Fu chiuso di nuovo nel 1867 per una seconda legge di soppressione degli Ordini Religiosi del 7 luglio 1866, riaperto nel 1880 dal P.Mariano da S.Nicandro Garganico. Il convento di Serracapriola riprende, a fine secolo e ad inizio del 1900, la sua funzione di luogo di formazione, che era stata una sua prerogativa preminente anche nel passato. Nel corso degli anni la chiesa è stata ristrutturata e modificata più volte nei suoi arredi sacri: nel 1893 fu costruita a nord l'ala che comprende la cantina, la loggia e la biblioteca. Nel 1941 fu sostituito l'altare di legno con uno di marmo di Gennaro Limatola di Foria. Il pittore Amedeo Trivisonno di Campobasso, coadiuvato dal pittore serrano Nicola Bucci, decora ed affresca la chiesa. Nel 1991-1997 fusmontato l'altare maggiore del Limatola e addossato alla parete terminale della chiesa. Il presbiterio venne pavimentato con granito e rinnovato il tamburo. Vengono eliminate le mense degli altari laterali per creare spazio. Il 1° settembre 1999, il convento cessa la sua attività parrocchiale e viene trasformato in Casa di Accoglienza. La festa della Madonna delle Grazie, organizzata dai frati cappuccini del convento di Serracapriola, si è svolta sempre come una manifestazione strettamente liturgica. Nel corso degli anni ci sono state poche variazioni, come l’aggiunta della banda musicale che dopo la processione restava ad animare la festa esterna, la sagra del dolce e della pasta e la pesca di beneficenza. Alla celebrazione vi partecipano anche i chieutini (legati ai serrani dalla stessa fede per essere scampati miracolosamente all’invasione turca del 4 agosto 1567) con il pellegrinaggio a piedi da Chieuti al santuario e con il gonfalone del Comune dietro la processione. Il quadro miracoloso è stato anche portato a Chieuti per volontà dei guardiani: fra Cipriano de Meo nel 1987 e fra Antonio Belpiede nel 2000.
Il 16 ottobre del 1962, guardiano del convento fra Giulio Russo (1905-1983) da S.Giovanni Rotondo, giunse da Roma, acquistata con l’offerta dei fedeli, la statua della Madonna delle Grazie che fu portata in processione nell’annuale festività del 2 luglio, forse per preservare il prezioso dipinto della Sacra Famiglia, chiamato Madonna delle Grazie, da sempre “protagonista” della peregrinatio. Ma dopo alcuni anni, e fino al 2003, nella processione del 2 luglio, fu riportato il dipinto del Tolentino, mentre la statua rimase nel convento fino agli anni ’90 e, guardiano fra Luigi Ciannilli, fu rimossa solo per gli interventi di restauro.
Nel 1970, guardiano fra Eugenio da Montefusco, la chiesa del convento fu dichiarata Santuario. Nel 1971 il quadro della Madonna delle Grazie (che nel corso dei secoli subì molteplici manomissioni che ne avevano cambiato l’originaria policromia–R.D’A.-) subì un ulteriore discutibile restauro ad opera del pittore Tito Diodati di Napoli e il 2 luglio dello stesso anno in occasione della festività ci fu l’incoronazione e la processione.
Con fra Cipriano de Meo (guardiano dal 1983 al 1990), esorcista e vice postulatore della causa di beatificazione di P.Matteo di Agnone, per la processione del 2 luglio fu preparato un carrello addobbato su cui vennero sistemati il quadro della Madonna e le statue di S.Antonio e S.Francesco. Il percorso prevedeva anche Corso Garibaldi e piazza V.Emanuele III dove l’orchestra accoglieva la banda per il concerto della serata (vedi “La Madonna di Pompei a Serracapriola nel 1990).
Negli anni successivi, guardiano e parroco fra Luigi Ciannilli, questa festa non ebbe cambiamenti significativi. La processione della Madonna delle Grazie del 2 luglio 1997, come sempre, si snodò lungo l’itinerario prestabilito fra i canti e le preghiere dei numerosi fedeli. La Madonna era accompagnata dal guardiano fra L.Ciannilli con i suoi confratelli, dal sindaco di Serracapriola Michele Caccavone, dall’assessore Anna M.Zirillo, in rappresentanza del comune di Chieuti, dai Vigili Urbani dei due comuni con i rispettivi gonfaloni e dalla banda di Martina Franca che animava anche la serata. A conclusione della festa ci furono i fuochi pirotecnici, meno fragorosi del solito ma più spettacolari.
Il 1° settembre 1999, guardiano e assistente regionale OFS p. Antonio Belpiede, il convento, dopo un vigoroso restauro protrattosi fino al 2005 per curare tutti i particolari, fu trasformato in Casa di Accoglienza con il nome “Convento P. Pio Giovane”. Suggellò i lavori di questa grande opera il definitivo restauro del quadro della Madonna delle Grazie ad opera del restauratore prof. Raffaele d’Amico che riportò alle origini la tavola del 1534 così come era stata dipinta da Francesco da Tolentino. Con il benestare della “Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici” di Bari il quadro, senza cornice, resterà, fisso, sovrapposto al centro della grande pala, ad olio su tela, che rappresenta l’Eterno Padre, gli Angeli, S.Michele Arcangelo e S.Francesco. Esso in effetti copre un misterioso buco praticato in epoca remota sulla pala stessa.
Nella festività del 2 luglio 2004 è stata portata in processione la copia incorniciata del dipinto originale della Madonna delle Grazie. La fiaccolata mariana, organizzata dal guardiano fra Antonio Belpiede ed improntata solo sulla preghiera, senza la banda musicale, ha seguito il seguente itinerario: Piazza Padre Pio, via Marconi, via Attilio Lombardi, monumento di S.Francesco e ritorno al convento da viale Italia dove è stata celebrata la santa Messa.


Chiesa Dei Padri Cappuccini

Fu costruita contemporaneamente al convento con molta semplicità francescana, da modesti costruttori. La sua volta a botte si gira in due punti che portano archi non affatto simmetrici.
Ha due Cappelle a sinistra di chi entra. Nella prima è la statua del Redentore, bizantina, nella seconda il quadro della Vergine di Pompei; a destra vi sono due aItari, su quello più vicino alla porta vi è la statua di S. Antonio e sull'altro quella del Serafico.
Fu consacrata il 13 giugno 1703 e dedicata alla Vergine delle Grazie. Fin dalla sua origine questa Chiesa, come già abbiamo accennato, è stata priva di arte; una bellezza, una grandezza però ha sempre avuto, ed è il quadro miralcoloso della Vergine delle Grazie. Il lavoro è dipinto su tavola: l'Augusta Regina ha la fronte serena, pensosa, il volto amabile su cui si leggono infinite tenerezze materne, sulle sue ginocchia è seduto vezzoso il celeste Bamblno, che Ella guarda con affetto sovrumano.
Sinora non era conosciuta la storia di questo quadro, ma recentemente abbiamo trovato le seguenti interessanti notizie. Nella biblioteca di S. Genoveffa a Parigi vi sono manoscritti compilati dal P. Girolamo di Napoli in Lucera di Puglia, nell'anno 1615, riguardanti la Madonna delle Grazie venerata nella Chiesa dei Padri Cappuccini in Serracapriola.
Il suddetto Padre scrive che ricapitando in queslo paese l'illustre piltore Francesco Tolentino nell'anno 1534 dopo d'aver dipinto due quadri della Vergine nelle chiese principali, ne dipinse un terzo, il più bello, per il Sacerdote D. Vincenzo Gabriele.
In quel tempo i Cappuccini fabbricavano il loro convento a Serracapriola e D. Vincenzo improntò loro la suddetta immagine della Vergine con l'obbligo di restituirla non appena ne avessero fatto dipingere una nuova per la loro Chiesa. Ma ecco che il padrone della bellissima e miracolosa immagine muore e il fratello Domenico Gabriele pensò di riprenderla; ma quando voleva attuare il suo desiderio, passò a miglior vita. Dopo, un figlio cercò anch'egli di portarsi il prezioso tesoro, ma similmente fu colpito da grave malattia e cessava di vivere. Due sorelle del defunto, considerando i luttuosi fatti, impaurite, decisero di donre il quadro della Madre di Dio alla Chiesa dei Padri Cappuccini.
Il popolo di Serracapriola e quello di Chieuti hanno sempre avuto per questa Vergine amore profondo, sentita divozione.
Nell'ora del dolore, del pericolo, delle malattie a Lei sono ricorsi con fiducia e sempre si è dimostrata "Madre piena di grazie". Con pompa solenne la festeggiano ogni anno, il 2 luglio. In tale occasione la sua Chiesa rigurgita di fedeli, tutti Le offrono il loro omaggio, tutti Le manifestano lo loro pietà filiale. Ma perchè tanto affetto, tanto culto verso la Vergine delle Grazie?
La ragione principale si deve ricercare in un episodio che spaventa, in cui balena la collera di Dio, la Sua Giustizia contro coloro che .offendono Maria "Donna singolare in che il Verbo di Dio carne si fece". Così lo descrive il Boverio. "Erano trascorsi appena 42 anni dalla fondazione dell'Ordine dei Frati Millori Cappuccini, regnava sulla cattedra di S. Pietro, S. Pio V, quando i turchi, riunita .una grande armata di terra e di mare, scorrevano il litorale della Puglia, e avendo già saccheggiato molte città, tra le altre misero a ferroo e fuoco Serracapriola".
Questi barbari, dopo di avere incendiato il Convento dei Cappuccini, invasero la chiesa dove spezzarono le immagini, e uno loro impugnò la scimitarra contro il quaro della Vergine, tanto cara al popoIo; poi salì sull' altare, lo staccò dal suo posto e lo gittò a terra, ma quasi contemporaneamente cadde anche egli al suolo, privo di vita. Per questo fatto i compagni spaventati lasciarono intatta la Sacra Immagine e fuggirono dalla chiesa.
Restaurato il convento, fu esposta di nuovo alla pubblica venerazione, continuando ad operare prodigi.
Uno storico moderno locale, il De Luca, con i soli voli della fantasia, senza apportare nessun documento, nessuna ragione, ha tolto al suddetto episodio ogni traccia di soprannaturale dimenticando completamente che la storia non si crea e che in materia di storia ha vigore il grande principio "quod gratis asseritur gratis negatur". Noi per provare l'autenticità del fatto possiamo citare il Boverio, Monsignor Tria, la tradizione del popolo di Serracapriola e di Chieuti, ma il De Luca, per la sua tesi qual documento apporta? Nessuno, proprio nessuno. Sarebbe più decoroso se questo storico avesse preferito il silenzio o se avesse detto: "non credo ai fatti di ordine soprannaturale".


Abbazia Di Sant'Agata


Dedicata a Sant'Agata martire, l'abbazia è situata al margine nord-est del territorio serrano.
ln Sant'Agata era attivo un allevamento zootecnico che, dopo la cerealicoltura, era il secondo cespite delle entrate dell'abbazia. Prevalente era l'allevamento ovino; seguiva quello bovino (bufali}, poi quello dei maiali, delle giumente, la cui razza era stimata per una delle più famose di quelle parti e, infine, quello delle api che davano miele. I monaci dal canto loro, sfruttando la Glycyrrhiza Glabra, che abbondava nel "Parco dei Quaranta" distillavano un prezioso liquore... A Sant'Agata, oltre la chiesa, sorgevano una grande masseria e molte case per massari e lavoranti... L'abbazia era gestita secondo il tipo dell'azienda latifondistica, con un responsabile...,un gruppo dirigenziale,...alcune categorie di lavoratori..., e infine, una massa bracciantile per i lavori del quotidiano. Ad essi si aggiungevano fornai, fabbri, cuoiai e calzolai, che abitavano all'interno dell'edificio centrale.
L'assieme rendeva l'intero complesso autonomo e...basato com'era su una tenuta di nove miglia per tre, lo rendeva poco vulnerabile dalle carestie e dall'altalena dei prezzi del mercato. (Stanislao Ricci)
Le cose che restano dell'abbazia di Sant'Agata, oggi poco più di un rudere, sono la statua di cartapesta che si venerava nella chiesa omonima e un quadro a olio su tela, deteriorato, raffigurante il martirio subito dalla santa siciliana; oltre le foto d'epoca degli ultimi abitanti della contrada, scattate negli anni trenta.


Chiesa Di San Mercurio

La Chiesa di S. Mercurio fu ricostruita nel 1630, nello stesso posto dove era quella che per essere quasi distrutta dal terremoto fu demolita: fu consacrata da Monsignor Tria il 18 novembre 1728. Anch'essa è a tre navate, di ordine toscano e di tanta perfezione, afferma Tria, che in tutta la diocesi non ve ne è una eguale. Più ampia e lunga di S. Maria ha di molto pregevole il Capo Altare,che dicono essere in oro zecchino. Prima esso era immediatamente dietro all'altare maggiore, poi fu situato a ridosso della parete ultima del coro dove attualmente trovasi. Nel 1998 è stato restaurato ed ora è l'incanto di tutta la chiesa.
Nella Chiesa riunivasi una volta la Confraternita del Sacramento, che vestiva sacchi bianchi e mozzetta rossa: il Priore era eletto dai confratelli laici e secolari.
Anche qui parecchi altari erano patronali: quello di S. Michele apparteneva alla famiglia Stanziano; quello di S. Filippo a Niccolò d'Errico, da Bovino, Notaro; quello dell'Addolorata a D. Salvatore Simonetti; quello di S. Maria delle Grazie prima alla famiglia Stella poi ai Cannavaro di Lucera; quello della Madonna del Carmine alla famiglia Carrieri, e l'altro di S. Gaetano ai Paramente.
Si conservano molte reliquie e un pezzo di guancia di S. Biagio, nonché pezzi di ossa di S. Lucia, di S. Mercurio, di S. Pardo, di S. Tommaso Apostolo, e pezzi di precordi di S. Filippo Neri.
Le sepolture che prima vi erano furono trasportate nel Cimitero. La Chiesa fu abbellita con stucchi e pavimento di Faenza nel 1801: anche ora si vede qualche residuo delle antiche mattonelle. Su, in alto, vi è un bel distico, che dicesi dettato dal canonico Samuele, di cui dura la fama come buon latinista:

Ista Dei Domus Est, Oh Quam Metuenda: Silete.
Ommnipotens Habitat, Quaeque Nefanda Procu!

S. Mercurio è il vero protettore di Serracapriola, ma non ha troppi fedeli ed ammiratori: anchela Chiesa, benché più ampia e più bella, non è molto frequentata, forse per la sua posizione un po' fuori mano.
Si aveva una statua in argento del Taumaturgo, fatta nel 1762 dal Canonico Samuele ma essa fu rubata il 23 Nov 1873 e d'allora venne sostituita con altra di legno dorata. La cupola fu accomodata per ben due volte a spese del Comune nel 1882 e nel 1908, ma non fu ultimato il prospetto che anche ora è incompleto.
Nell'ambito del paese vi sono inoltre la Congrega dei Morti, quella di S. Anna e la Chiesa di S. Angelo.
La prima, situata vicino alla porta che un tempo esisteva ed era detta di basso o di S. Mercurio, accoglieva la Confraternita chiamata una volta del Purgatorio o di S. Antonio Abate: vestivano e vestono anche ora sacchi bianchi e mozzetta nera. Ha rendite proprie, è amministrata da un Priore elettivo, per cui spesso vi è lotta non certo edificante, ed è sottoposta alla tutela della Commissione Provinciale di Beneficenza. Il locale non è molto ampio, e per di più è abbastanza umido ed oscuro: in questi giorni si agita una grave disputa fra i confratelli, dei quali alcuni vorrebbero cambiar sede ed altri, più conservatori o attaccati alle tradizioni, restare dove si trovano.
Più tranquille sono le acque nella Congregazione di S. Anna, dove la mozzetta è celeste. Ai tempi di Tria essa non era che una cappella dell'ospedale, il quale era situato nelle case sporgenti in piazza ed appartenenti alla Congrega di Carità. "Lo Spedale, scrive Tria, è ben formato colle stanze bastanti a ricevere i poveri e i pellegrini". Poi fu chiuso: si tentò di riaprirlo ed ampliarlo verso il 1802 col cemento residuo della Chiesetta diruta di S. Rocco (Fraccacreta).


Chiesa Di Santa Maria

La Chiesa è costruita a tre navate, di cui quella di mezzo è più vasta: in fondo a questa vi è l'altare maggiore, dietro ad esso il coro e in alto il quadro della Madonna. Ai tempi di Monsignor Tria nella Cappella laterale di destra vi era una Confraternita di Ecclesiastici e secolari, che vestivano un sacco di telabianca e mozzetta verde. Gli altari prima erano padronali: quello di S. Antonio apparteneva alla famiglia Del Giglio, e poi ai fratelli De Cicco, che avevano il titolo di Conti. L'altare della Presentazione di M.V. apparteneva alla famiglia Rota; quello di S. Lorenzo ai De Muziis, discendenti della famiglia Masciaria; quello di S. Pietro in Vincolis prima alla famiglia Piccoli, poi ai Gentile; quello di S. Carlo Borromeo fu dei Papecchia e poi di Ferulano che fu anche Arciprete della Chiesa.
Veramente i quadri che vi sono valgono ben poco come opere d'arte: l'unico discreto e che forse potrebbe essere di autore è quello di S. Carlo e S. Filippo. Molto meno poi valgono le diverse statue, specialmente quelle che la malintesa devozione di alcuni va regalando al tempio, che certo né si arricchisce né si abbellisce in tale modo.
Dentro il Coro è seppellito Monsignor Giovanni Battista Quaranta Vescovo di Larino, qui morto il 2' settembre 1685. Vi era anche Monsignor Geronimo Velo di Vicenza pure Vescovo di Larino, e di cui nel registro dei defunti che va dal 1600 al 1643 - il più antico dell'archivio parrocchiale si legge che morì nel 21 novembre 1611 "e il suo corpo fu efferato nella Chiesa di S. Maria e poi fu trasferito alla sepoltura della Chiesa Cattedrale di Larino". In memoria dei due Vescovi qui sepolti erano appesi sotto la volta della navata sinistra due cappelli da Monsignore, e vi stettero sino a pochi anni or sono quando essendosi ripulita ed imbiancata la Chiesa, furono tolti e bruciati. Nel popolo si diceva e si dice ancora che qualora la Chiesa potesse arricchirsi di un altro cappello, cioè se qui fosse morto un altro Monsignore, Serracapriola per diritto sarebbe divenuta sede di un Vescovado.
Sotto l'altare maggiore si conservano le ossa di S. Fortunato Martire che furono donate al Clero e al popolo di Serra da Cesare d'Avalos d'Aragona, Marchese di Vasto, come si rileva da lettere autentiche conservate nell'archivio capitolare.
Per chi possa avervi interesse, riporto da Tria che dentro il pilastro dell'arco grande, da parte dell'Epistola, vi era un'altra cassa di cristallo, in cui si conservavano reliquie di molti Santi ed anche un osso di S. Felicissimo Martire.
I cadaveri erano seppelliti nella Chiesa e molti se ne sono trovati quando nel 1910 si è rifatto il pavimento in marmo, a cura e spese dei fedeli e del Clero, come si legge nell'epigrafe fatta apporre a piè di una colonna:

Pavimentum Hoc Marmoreum
Auspice Pasquale Iammarino Archipresbytero
Ecclesia Populusque Clero Adiuvante
Fecerunt MCMX


Chiesa Di Sant'Anna

Con il nome di Sant'Anna si distingue dai serrani "il fiero terremto" che la sera del 26 luglio1805, "circa le ore tre", colpì violentemente la città. Nella ricorrenza, "ad un'ora di notte", le due campanelle di S.Anna, dal loro agile campanile a vela, lanciano rintocchi "a morte". Ricordano e tramandano così alle nuove generazioni, "l'avvenimento doloroso di quella giornata" che la locale collettività definisce "segnalata", cioè nefasta. Nell'ambito della chiesa è eretta la "Congregazione di Gesù, Maria e Sacra Famiglia" i cui "fratelli", una volta numerosi, indossano sacchi bianchi e mozzette di "drappo broccato celeste, con galloni dorati". È di proporzioni contenute e di essenziale semplicità.
Il suo interno, a navata unica,è dominato da un armonico altare maggiore al quale fanno corona altri quattro laterali dedicati a Sant'Anna (21 maggio 1841), a Sant'Antonio da Padova, alla Madonna di Pompei ed a San Gioacchino da Nazareth.
La statua che adorna quest'ultimo altare, costata 160 lire, è opera di Gennaro Sparavilla che la consegnò alla "fratrìa" di Sant'Anna il 1° Aprile 1890. Nella chiesa campeggia un organo "di legno indorato infisso al muro, con due mandici ed a nove registri". È conservato discretamente, ma è muto d'armonie.
La nascita della chiesa ha radici lontane. Nacque come "cappella" per le necessità spirituali dell'attiguo "ospedale" e fu rifatta nel 1741/1742. Il "decurionato" serrano (l'amministrazione comunale del tempo) contribuì al suo restauro versando 10 ducati.
Per dotare la chiesa di un "coro per uso dei confratelli" fu necessario ampliarne le strutture murarie che vennero prolungate verso il Borgo. La lungaggine della costruzione impedì il culto che si praticò nuovamente dal 1° gennaio 1838.
Nella chiesa, riferimento essenziale dei fedeli del quartiere, la liturgia è oggigiorno limitata alla domenica mattina ed alla novena che si celebra in preparazione alla festa titolare del 26 luglio. Fino a qualche lustro fa, durante la novena di San Mercurio martire, il simulacro di sant'Anna veniva traslato nella collegiata omonima ed il 5 settembre esso sfilava a processione per le vie cittadine, accompagnando il protettore di Serracapriola.
Per la centralità territoriale che occupava nel primitivo tessuto urbano, l'edificio della chiesa, in particolari momenti storici d'Italia, fu adibito a funzioni "profane". Servì da seggio elettorale - (votanti 751 - Presidente Cesare Finizio, sindaco della città) - il 21 ottobre 1860 quando Serracapriola si espresse per l'annessione dell'ex Regno delle Due Sicilie a quello di Vittorio Emanuele II.
Durante la lotta al brigantaggio meridionale fu "quartiere" per la truppa italiana che l'occupò abusivamente dal 1861 a marzo 1864. Fra i soldati acquartierati nel sudiciume della chiesa scoppiò con "virulenza nell'ottobre 1862" il tipo petecchiale che "durò fino a tutto il 1863". Da lì entrarono nella morte anche alcuni civili contagiati; fra essi, il 30 dicembre 1863, il medico trentottenne Nicola Altamura, figlio di Michelangelo e di Celesta de Iudicibus, sindaco in carica di Serracapriola.
L'occupazione militare non consentì la pratica degli atti religiosi nel piccolo tempio.
Allorquando i fanti in partenza mollarono "la preda", i fratelli lanciarono urla di gioia. Gli entusiasmi iniziali furono subito raffreddati verificando lo stato della chiesa. Essa apparve devastata e "della suppellettile depauperata": l'organo "precipuamente restò guasto ed inutilizzato". Al termine di un restauro lungo e laborioso ad esso ridiede voce, durante la novena di Natale 1869 - la bottega dell'organaio Antonio D'Onofrio da Caccavone (oggi Poggio Sannita, comune dell'isernino). Stimolati dalle parole alate e dalle esortazioni supplici e fiere del canonico Luigi Facciolli, delegato (26-5-1865) dal Vescovo diocesano mons. Francesco Giampaolo a "riconciliare" la chiesa, si mossero in soccorso di Sant'Anna non soltanto i "confratelli", ma anche i cittadini serrani. Pur alle prese con l'economia stagnante dei tempi, venne praticata alle strutture un lifting generale che portò la chiesa a riaprire ben presto i suoi battenti. All'aleatorio subentrò il certo, al disarmonico il bello, irrobustito da donativi privati. Luigi T. donò il "lampione grande a 12 lumi sospeso in mezzo alla chiesa", Giovanni D.L. i "quadri sopratela" di San Luigi Gonzaga e della Crocefissione del Nazareno, Domenico P. la statua di Sant'Antonio da Padova e la baronessa P.F. "la veste di seta ricamata in oro ed il manto di seta bianca alla statua di Gesù e Maria".
Il 12 giugno 1865, la statua di Sant'Anna e le altre che arredavano la chiesa, vennero traghettate "processionalmente dalla collegiale chiesa di Santa Maria in Silvis". Erano state lì depositate durante l'intera vacanza di culto. Subito dopo,col concorso "di molti divoti si adempì con pompa alla religiosa funzione e con solenne sparo", si cantò messa parata dal canonico Facciolli (Ý 17 ottobre 1870). "La sera, anche con sparo", si cantò "una litania".
Nel 1884, ai muri perimetrali della chiesa "essendo cadente si dovettero... mettere le catene di ferro". Contemporaneamente vennero eseguiti altri "accomodi nel campanile e nell'interno della cappella, facendola benanche pittare". Per l'organo ci fu un nuovo restauro nel giugno 1914, mentre nel 1922 fu necessario operare "la raccomodazione della tettoia della chiesa". Per fronteggiare le spese necessarie, lire 1940 e centesimi sessantacinque, fu necessario vendere a Napoli il 1O agosto 1922 l'oro di Sant'Anna e della Madonna di Pompei che fruttarono lire 1705 e cinquanta centesimi. Già nell'ottobre 1888, il priore dell'epoca fu autorizzato a vendere 36 anelli d'oro (più altri quattro che ornavano le dita di Sant'Anna) ed un "paia di bottoni semplici".
Nel passato dire Sant'Anna non solo significava culto, ma anche assistenza. Sotto quello stesso nome era funzionante, infatti, un "ospedale". Non era un presidio di cura nell'attuale accezione della voce, ma un asilo di accoglienza, ad alta valenza sociale, aperto ai bisognosi che vi ricevevano conforti e carità. Da quella peculiarità funzionale prese corpo nella parlata locale la colorita locuzione "a' mura' mur ch' sént'ann'" ancora viva nell'attuale vernacolo insieme con il lemma "spedélét", i cui chiari significati, inzuppati di "nuance" spregiativa, riconducono entrambi ad una povertà povera e palese.
In Serracapriola "l'ospedale'' funzionava già nel 1597, ma fu cancellato dal sisma del 1627 Venne poi riproposto "ben formato, colle stanze bastanti a ricevere i poveri e...i pellegrini". "Situato nelle case sporgenti in piazza" degli Zingari (poi largo Sant'Anna, oggi Piazza Umberto 1) campò fino al 1799, anno in cui fu "soppresso nella rivoluzione" della Repubblica Partenopea. Si tentò di riaprirlo e di ampliarlo verso il 1802 sfruttando il materiale erratico proveniente dalla distrutta chiesetta di San Rocco sui cui ruderi venne costruita l'ala femminile dell'Edificio Scolastico elementare "San Giovanni Bosco".


Chiesa Di Sant'Angelo

La Chiesa di S. Angelo faceva parte del Convento che la comprendeva.
Il frate Angelo da Montesarchio nella sua Cronistoria della Provincia Riformata di S. Angelo (Tria) scrive che : «nello stesso dilettevole colle, sessanta passi lontano dalla suddetta Terra di Serra, feudo della nobilissima famiglia D'Avalos, fu dai P.P. Cisterciensi dell'antichlssimo Monastero di S. Maria di Ripalda edificato un Ospizio per comodo dei loro Religiosi, i quali vi dimorarono dall'anno 1436 fino al 1474, quando con Breve di Sisto IV fu dato ai P.P. Osservanti, e ne presero possesso i P. Cipriano da Troia e Samuele da Guglionesi. Fu dalla generosa pietà della Serenissima famiglia Conzaga dei Principi di Guastalla quasi di nuovo edificato, e nel 1503 interamente perfezionato e capace a potervi abitare i Religiosi..... Stabilita la riforma in questa Provincia, fu questo Convento dagli Osservanti ai P.P. Riformati ceduto, dai quali e stato ampliato ed abbellito in tal guisa che oggi è uno dei più belli e magnifici conventi. Nell'anno 1700 vi fu costituita l'infermeria, la quale con nobile semetria, con dormitori separati da quelli del Convento, e con buone officine osservasi situata, ed è addobbata di cospicui arredi e necessarie suppellettili per servigio dei frati infermi. E colle limosine di persone divote vi fu aperta una buona speziaria. Oltre i frati infermi, dimorarono in questo Convento circa 16 Religiosi, ma è capace. a potervi abitare più di 30. Contiene una mediocre Libreria, ma ricca di ottimi libri. E vi è un giardino assai spazioso e dilettevole, con un pozzo di buone e abbondanti acque.
Soppressi i Riformati in settembre 1811 fu Caserma di Gendarmeria, e nel 1815 fu concessa a D. Maria Ruggiero, come risulta da documento che riporto dal Fraccacreta. «Sansevero, li 13 dicembre 1815. Il Sottointendente del Distretto di S. Severo al Sig. Sindaco di Serracapriola - Il Signor Intendente con suo ufficio del 12 and. mi partecipa che S. M. si è degnata di concedere il soppresso Convento dei Riformati di cotesto Comune alla Signora D. Maria Ruggiero a fine di ridurlo a casa di educazione, coll'obbligo di cedere a carico della medesima la spesa di riduzione e il mantenimento della contigua Chiesa. Ha ordinato che si adotti l'istituto dei così detti Collegi di Maria di Sicilia utilissimo per l'educazione delle fanciulle, le di cui regole si conservano al Ministero degli affari Ecclesiastici. Nel comunicarvi questa Sovrana risoluzione per vostra intelligenza e per norma ancora della suddetta Sig.ra Ruggiero cui passerete l'annessa, vi prevengo pure che S. E. il Ministro dell'Interno ne ha dato il corrispondente avviso agli EE. Sigg. Ministri delle Finanze, degli affari Ecclesiastici per le loro disposizioni all'assunto».
In seguito, il 23 febbraio 1816, il Ricevitore della Registratura e dei Demanii del burò di Serracapriola (Giuseppe Marotta) dava il vero reale e corporale possesso del locale consistente in 33 superiori e 10 inferioti alla Sig.ra Ruggiero, e poi nel ptimo luglio stesso anno, il medesimo Matotta, in presenza dei testimotti Pietto Paolo Arranga e Ferdinando , de Leonardis dava anche il possesso della Chiesa e Giardino facendo ordine al fittuario di questo, Vincenzo Pergola, di pagare alla Ruggiero gli afftti annuali in tempo del maturo.
Il Convento prosperò per alcun poco, e sotto il Vescovo Raffaele Lupoli le monache presero il titolo di Liguorine: poi nacquero discordie sicchè la fondattice Maria Ruggiero abbandonò tutto, recandosi a fondare altri due Monasteri In Orsara ed Ascoli Satriano. La Ruggieto vedova del giudice D. Diego Pergola, era, può dirsi, affetta da mania religiosa, e sperperò tutto il suo in simili opere, dopo aver fondato (1811) un Convitto nella casa paterna abitata dallo scrivente alla via Covatta, ora Cairoli. Morì sotto il nome di Suora Caterina di Gesù in Ascoli nella cui Cattedrale è sepolta: un cappuccino, poco tempo fa, mi diceva che era morta in odore di santità e che aveva tutti i requisiti per essere canonizzata, anzi mi proponeva come lontano nipote, di farne addirittuta il processo !...
Il Monastero resse fino al 1862, quando ne fu ordinata la soppressione e la chiusura: abbandonato per parecchio tempo fu poi acquistato dalla famiglia Maurea di Chieuti ed ora è posseduto da una discendente di essa, Sig.ra Virginia maritata De Nardellis.
Nella sacrestia della Chiesa si conserva tuttora il corpo imbalsamato del Beato Tommaso d'Avalos d' Aragona, Priore di S. Domenico Maggiore in Napoli e Professore di Teologia in quella università, morto qui dove erasi recato per cambiamento di aria, a trent'anni nel 1642, quando da un anno era Vescovo di Lucera. Dapprima il sarcofago era riposto sul coro, a sinistra dell'organo, poi fu messo là dove è tuttora. Parecchie volte, quando ero bambino, io ed altri ragazzi ci arrampicavamo per vedete il cadavere abbastanza ben conservato e tutto rivestito dei paludamenti sacri: esso poi formava il nostro tormento di notte quando, paurosi, ci pareva vederlo vicino al letto.
Non vi sono quadti notevoli; vi e però una statua della Concezione, cui gli abitatori di questa terra sono molto attaccati. Nel 1889 si era sparsa la voce che doveva essete trasportata, per ordine del Governo e a causa del suo pregio artistico che davvero non esiste, in qualehe Museo e vi fu una mezza ribellione. Anche allora le campane suonarono a stormo per diversi giorni e diverse notti, ed uomini e donne montarono la guatdia armati di tutto punto. Si gridò al miracolo anche e il popolo fanatizzato vide lacrime scorrere dagli occhi della Vergine. Poteva capitate qualche cosa di brutto ad un Signore di Casalbotdino che insieme con altri volle recarsi a vedere lo spettacolo nella Chiesa, e fu invece preso per il Ricevitore del Registro che si diceva venuto ad impossessarsi della statua: lo volevano per lo meno linciare, ed occorse del bello e del buono a persuadere quegli energumeni dell'equivoco in cui erano caduti.
Nella Chiesa di S. Angelo, mi informano i Reverendi Iammarino e Presutti, sulla parete dove vi è la nicchia della Vergine, trovasi un antico medaglione con la immagine del Dottor sottile, Giovanni Duns Scoto, che fu strenuo propugnatore dell'immacolato concepimento parecchi secoli prima della deflnizione dommatica. Qualche anno fa venne qui da Roma un archeologo per osservare il medaglione e trarre un nuovo argomento per il processo di santificazione del Dottore, processo che si è compiuto recentemente.
In S. Angelo si radunava il popolo a pubblico parlamento per procedere a quanto era necessario, e nella medesima Chiesa era la statua di S. Berardino, che anticamente era il protettore principale di questo paese, onore che dopo fu dato a S. Mercurio. Per la festa di S. Berardino e la fiera che s'intitolava al medesimo e si celebrava nel mese di maggio, il Municipio del tempo spendeva ducati quaranta all'anno, come si rileva da note consacrate appunto nei conti 1738, 1739 e seguenti. Solo più tardi S. Berardino passò in sott'ordine a totale beneficio di S. Fortunato, che ha preso il sopravvento anche su S. Mercurio.


Chiesa Della Trinità

“Eravi inoltre fuori le mura dell'abitato un'Arciconfraternità denominata della SS.Trinità la quale godeva molti privilegi; ma decaduta dal suo primitivo splendore, non ha più fratelli. La chiesa era assistita da un eremita fino a pochi anni fa, ma oggidì ne prende cura un Canonico e quasi in ogni domenica vi si celebra la messa. Fra quadri che vi sono, richiama l'attenzione di tutti quello di S.Francesco di Paola estatico nella contemplazione dei divini misteri. (Giuseppe De Leonardis o.c.)”
“La Trinità che ora è nell'ambito del paese, ai tempi di Tria “era situata un quarto di miglia dalle mura di Serracapriola, sulla via che porta a Chieuti: restaurata da poco per devozione di popolo, aveva anche più stanze per un Eremita”. Era una vera e propria Congrega, dove si riunivano i confratelli che indossavano mozzetta rossa: vi si celebrò messa fino al 1874. Lo stendardo rosso si conserva ancora ed è portato nelle processioni a ricordo del passato. Ora la Chiesa è abbandonata e tutta spoglia delle statue e degli arredi sacri. Così a volta a volta, servì di ricovero a poverelli che vi piantarono le loro abitazioni precarie, da teatro ai dilettanti del paese o a compagnie girovaghe, ed anche da riparo ad amanti. Dei cittadini volenterosi e devoti dicono di volerla riaccomodare ed aprire al culto, ma benché lo spirito religioso si risvegli spesso e li spinga anche a sacrifici di denaro l'ultimo sforzo, che dovrebbe essere il più grande, non si compie mai. Ora quel locale è adibito, ad uso di magazzino, dal Consorzio Agrario: chi sa col tempo cosa se ne farà: una Chiesa? Un Teatro? Un Palazzo? (Alfredo de Luca o.c.)”.
“Alessandro De Luca, già presidente della Congregazione di Carità, con Filippo Ricci ed Ernesto Gallo contrae un debito di £.4000 con il “Banco di Puglia” per restaurare e favorire la riapertura al culto della chiesa della SS. Trinità” (Stanislao Ricci)
“Nel 1918 la Trinità fu riaperta al culto e nel 1950 per iniziativa del cappellano don Adamo D'Adamo è stata quasi completamente restaurata e decorata, con l'aggiunta di un nuovo campanile e sagrestia. Di notevole è l'Ara pacis ai caduti in guerra. Ha la Confraternita della morte con mozzetta nera (Mons.don Adamo D'Adamo)”.
“Il canonico Giuseppe Presutto dettò le epigrafi delle lapidi collocati nell'Ara Pacis della chiesa. Le lapidi furono realizzati con il contributo economico di privati cittadini e di associazioni locali, fra cui il T.O.M. che elargì parte dei proventi della rappresentazione teatrale del dramma “Christus”, svoltosi al teatro Palazzo nella settimana santa del 1956, ad iniziativa del cappuccino padre Lucio da Serracapriola” (Stanislao Ricci)
In questa chiesa, a causa di un malore improvviso, morì il sacerdote don Antonio Gallo (1938-1970) mentre celebrava la santa messa.
Don Adamo D'Adamo, parroco di S.Maria in Silvis dal 1957, rinunciò alle funzioni di parroco nel 1974 per dedicarsi all'insegnamento. In seguito fu rettore della chiesa della Trinità finché le condizioni di salute glielo permisero.
Attualmente don Renato Orlando, parroco delle parrocchie unificate di S.Maria in Silvis e S.Mercurio M., chiuse al culto per gli eventi sismici del 2002, celebra tutte le funzioni religiose nelle chiese: della Trinità (dove si commemora anche la festa di S.Fortunato) e di S.Angelo (dove si commemorano le feste dell'Incoronata e di S.Mercurio).


Chiesa Di Sant'Antonio Abate

La facciata della chiesa sconsacrata di San Casimiro (inizialmente intitolata a Sant’Antonio abate). Nel suo seno era eretta la "Congrega dei morti", i cui “fratelli" indossavano sacchi bianchi e mozzette nere.
Situato al limite della "chiazzarann" nei cui pressi una volta la "Porta di Basso" sbarrava il lato sud del paese, il piccolo tempio era dotato di campanile a vela (poi abbattuto), coro di legno ed organo a canne.


Chiesa Di Santa Filomena

Nel 1836 costruita per volontà del duca Nicola II, essa venne poi abbellita dal duca Nicola III (1867-1948).
Nel 1954 la pieve venne dotata di campanile esterno, staccato dalla costruzione esistente.


Chiesa Di San Giacomo

Vestito da pellegrino, l'apostolo aveva nelle mani il bordone, al quale si appoggiava ed un libro. A sinistra, nella parte alta della tela, la Vergine sorreggeva fra le braccia il Bambino. Sotto tale gruppo c'era un grande angelo vestito di un ampio pallio rosso. ln basso campeggiava uno stemma gentilizio (croce bianca in campo rosso ed albero). Ai margini meridionali del piedistallo che sopporta la massa dei colli serrani, là dove l'Adriatica, la 376 dei Tre Titoli e la provinciale di Montesecco si annodano rispettose fra di loro, due tranches di mura sbriciolate sono la testimonianza vivente di quel che fu la chiesa di San Giacomo apostolo che un toponimo indigeno oggi - snaturandone l'essenza - chiama "a' chésétt di zingher".
La presenza della pieve sulla vecchia strada sterrata che sale a Serracapriola e la sua vicinanza agli importanti percorsi della transumanza, ne proiettano - quasi certamente - la costruzione in un'organizzazione territoriale che nella zona serrana si determinò prima dell'anno Mille.
In quell' epoca, gli edifici sacri, specialmente quelli collocati ai limiti delle vie di comunicazione, oltre a svolgere funzioni di culto e di rifugio per i viandanti che vi bussavano, costituivano anche un valido elemento di controllo del territorio.
L'annullamento quasi totale delle strutture murarie e la mancanza di qualsivoglia documentazione storica, rendono impossibile datare sia l'origine della chiesa, sia l'epoca della sua sconsacrazione. Tuttavia, l'intuibile conforrnazione dell'aula sacra con la caratteristica volta a botte e la lettura delle poche pietre che, pur consumate, resistono cocciutamente ad ogni usura, collocherebbero la nascita della chiesa fra il IX e il X secolo d.C.. Benché le fondazioni, di probabile età romana, lascino ipotizzare per il sito un ruolo ancora più remoto, ma indefinibile.
In una Bolla di Papa Bonifacio VIII del 1297, l'Ecclesia Sancti Jacobi, insieme con altri "benefici", risulta inglobata nella Commenda ecclesiastica dell' Ordine dei cavalieri di Malta, detta di San Primiano di Larino. Dei suoi commendatari si ricordano il Pelletta, in vita nel 1562 ed il Cedronio nel 1785, anno in cui la Commenda venne abolita ed incamerata nel Demanio. Durante il vescovado larinese di Monsignor Tria, la grancìa era governata da un romito ed era sottoposta a visita dell'ordinario (nel 1709 in San Giacomo morì un oblato). Sembrerebbe però che già nella seconda metà del Settecento, per incuria del Commendatario, la chiesa fosse già malconcia e le strutture del piccolo complesso, più che al culto, servissero come area di mercato ai "rivenduglioli" serrani che vi commerciavano ai viandanti e specialmente agli interessati alla transumanza, "commestibili, pane, vino e frutta". Su questa libera attività che movimentava l'economia locale, affondarono le grinfie aguzze i d'Avalos, feudatari di Serracapriola. Non più mercato libero a "Passo San Giacomo", ma plateatico regolato da un fittavolo che a sua volta doveva corrispondere alla cassa feudale ducati 10 all'anno. Il mercato fu nuovamente liberalizzato a favore della "Università" serrana nel 1739.
La chiesa, lasciata a se stessa, fu spogliata di ogni apparecchiatura liturgica. Le avversità atmosferiche determinarono nel tempo il collasso degli ambienti del secondo livello, eretti in momenti diversi e collegati con il piano terra con scalinate esterne di pietra; una sul lato nord ed un'altra su quello meridionale. Nel 1834 le rampe risultavano già parzialmente sprofondate. Vennero "salvati" due gradini ricavati da un' annosa pietra (una stele romanica erratica?) con scritte monche e difficili da decifrarsi.
Ciò che alle strutture del sacro complesso il tempo non fece, "Barbarini fecerunt". Nelle fiondate picchiarono tanto gli ossessionati dei tesori, quanto alcuni "vippissimi" amanti di maquillage territoriale.


Chiesa Di San Bartolomeo
Chiesa Di Sant'Antonio
Chiesa Di San Rocco
Chiesa Di San Eusania
Chiesa Di San Apollinare
Chiesa Di San Giacomo
Chiesa Di San Silvestro
Chiesa Di San Venacquosa
Chiesa Di Venamaggiore
Chiesa Di Mezzarazza
Chiesa Di San Leucio
Chiesa Di Torremozza
Chiesa Della Marina
Chiesa Di Porticchio
Chiesa Di Montesecco
Chiesa Di Melanico
Chiesa Di Casale
Chiesa Di Farato