Condividi con

FacebookMySpaceTwitterGoogle BookmarksLinkedinPinterest

Chi c'è online

Abbiamo 175 visitatori e nessun utente online

A CAMBANE

Il gioco consisteva nel disegnare a terra, con un gesso, un sistema di gioco così composto:

Si disegnavano due rettangoli, uno affianco all’altro, messi di faccia con i lati più piccoli adiacenti, numerando il primo 1 o 10 il secondo 2 o 20, sotto, al centro dei due rettangoli, se ne disegnava un altro numerandolo 3 o 30, sotto se ne disegnavano altri due numerandoli 4 o 40, poi 5 o 50, sotto a questi due se ne disegnava al centro un altro numerandolo 6 o 60 e così via fino ad arrivare a 10 o 100 questo disegno era chiamato “campana”.

Non c’era un numero di giocatori predefinito.

Ogni giocatore si dotava di una pietra possibilmente piatta e pesante, così da evitare che la stessa rotolasse al di fuori dei rettangoli e ci si posizionava a circa cinquanta centimetri dall’inizio del disegno. Si lanciava la pietra in ordine cronologico nel rettangolo numerato.

Se la pietra si fermava ( perciò non doveva rotolare ) si continuava saltando all’interno della “campana”: si saltava con i piedi all’interno dei rettangoli contemporaneamente e con le gambe larghe per i due rettangoli vicini, poi proseguendo, sempre balzando con un piede in quello singolo, in quest’ultimo un piede era messo nel rettangolo mentre l’altro era alzato, quindi ci si teneva in equilibrio. E così via.

Successivamente si doveva ritornare, nello stesso modo sopra descritto, e raccogliere la pietra dal rettangolo. Terminato il giro senza cadere o senza far cadere la pietra, si passava al rettangolo seguente. E così fino alla fine. Chi cadeva o sbagliava cedeva il posto al giocatore successivo, ed aspettava il suo turno.

Ovviamente vinceva chi arrivava per primo a 10 o 100.

campana.jpg - 45.38 Kb


COLLETTE

Il gioco era prettamente maschile, anche se a qualche ragazza non dispiaceva giocarci.

Si giocava con le figurine dei calciatori. Si prendevano in egual numero le figurine dei giocatori, si tenevano tra le mani, le figurine dovevano essere capovolte ed uno alla volta in maniera alternata si giravano, quando venivano fuori dei giocatori con lo stesso “colletto” di maglia, si prendeva tutte le figurine che erano state girate fino a quel momento. Da qui il nome COLLETTE

La gara era uno contro uno.

Vinceva chi si prendeva tutte le figurine, e quindi l’altro rimaneva senza. Durante il gioco chi non giocava e seguiva la gara, diceva a colui il quale stava perdendo questa mitica frase: “Te stace spappalane’” voleva dire: "Ti sta stracciando".


I PALLUCCE’

Altro gioco tipicamente maschile.

Si giocava con le biglie quelle in vetro.

Si faceva un buco in mezzo alla strada, profondo circa 5 cm. E largo circa 15 cm.

Si decideva come giocare se “alla finta” senza mettere in palio le palline o “alla vera” mettendo in palio le stesse

I giocatori potevano andare da 2 in poi, ci si posizionava a circa 6m. dal buco, e uno alla volta si doveva centrare il buco.

Se un giocatore lo centrava aveva il diritto di bocciare le palline, altrimenti il diritto di mandare la palline nel fosso era del giocatore più vicino.

Il lancio poteva esser fatto come si voleva.

Quando si era nel fosso si decideva con chi iniziare a giocare.

Il giocatore con la pallina nel fosso chiamava uno e diceva quante palline si voleva giocare, es. CCìNGHE PALLINE A POSTO CACCIO’ ovvero sfidava l’altro a far entrare l’avversario nel fosso con un tiro si puntava il dito mignolo sinistro nel punto dove stava la pallina, si protraeva in avanti la mano e soprattutto il pollice, poi il mignolo della destra toccava il pollice della sinistra e quindi anche la mano destra si protraeva nella direzione verso cui indirizzare la pallina che, posizionata all'interno dell'indice e del medio destro, veniva lanciata grazie alla forza del pollice. (ved. Fig.1)


Ciascun giocatore doveva progressivamente eliminare gli avversari colpendoli con la propria pallùccia; per far questo bisognava diventare "cacciatore", cioè entrare nel  caccio: infatti i giocatori partivano tutti "alliviotti" (sono i piccoli degli uccelli) e solo entrando nel caccio si conquistava il privilegio di colpire la pallina avversaria.Infatti la prima cosa che faceva il giocatore che aveva conquistato il caccio era quella di cercare subito di colpire un'altra pallina; succedeva spesso che, se le palline avversarie erano troppo lontane, il giocatore appena diventato cacciatore dichiarava:"caccio e proprio" cioè "sto fermo un turno", aspettando una soluzione più favorevole. Gli avversari avevano due possibilità: o si mantenevano lontani dal neo-cacciatore in attesa che fosse lui ad uscire dalla "tana", oppure tentavano con un sol colpo di entrare nel caccio, manovra vincente perchè questa mossa determinava la sconfitta di chi aveva dichiarato il caccio e proprio. Questa era l'unica maniera per far vincere un alliviotto su un cacciatore.

Una volta dentro si potevano utilizzare due metodi per colpire le palline, o dicendo al giocatore di mettere i piedi vicino alla pallina, così da non allontanare la stessa dicendo “TACCHETTE”, i piedi dovevano essere messi con i tacchi vicino e le punte rivolte alle dieci e dieci, in questo casa la pallina doveva essere colpita direttamente. Altrimenti si diceva “tacchette c’ù ritorne”

Cioè se la pallina del “cacciatore” se toccava i prima i piedi e poi la pallina valeva lo stesso.

Di palline ne esistevano tante la "mastacchiotte" classica pallina di vetro, la“crocis” in genere bianca con delle strisce attorno ( in molti quartieri questa palline valeva cinque "mastacchiotte"), la “nerina” tutta nera con delle strisce colorate (valeva dieci ), le “picchiettate o tigrate” avevano delle macchie (valevano dalle venti alle venticinque)“lunare” una pallina a specchio (questa valeva trenta), e poi la mitica “chicchinella” ovvero la pallina più piccola (ne valeva anche cinquanta)


I SOLDATINI

Il gioco dei soldatini era molto semplice. Innanzitutto si cercava il luogo dove posizionarsi, su di un marciapiede abbastanza largo o in un qualsiasi altro posto, dove nessuno poteva darci fastidio.

I giocatori erano due, uno si posizionava da un lato,mentre nel lato opposto c’era l’altro giocatore .

Si disponevano i classici soldatini di plastica in ordine sparso, per aumentare “l’esercito” si aggiungevano anche gli indiani i cavalli ecc.

Ovviamente dal “fronte” opposto si faceva la stessa cosa, dopo di che i due giocatori si sdraiavano a terra di pancia in giù, e con una pallina da tennis o con un’altra pallina di dimensioni più piccole, si iniziava la guerra, cercando di abbattere più soldatini possibili facendo rotolare la pallina verso gli stessi.

Vinceva chi per primo abbatteva tutti i soldatini.

Ovvio che si cercava di mettere i soldati molto larghi tra di loro così da evitare l’abbattimento.


MAZZA E BUSTIKKE

Si giocava all'aperto, oggi purtroppo non vi sono più spazi dove “divertirsi” e quindi anche questo gioco è tramontato.

Per giocare occorrevano due pezzi di legno, una mazza di circa 50-60 cm e una più corta di circa 15cm chiamato “u bustikke” che aveva le estremita appuntite o affusolate, per dar la possibilità di saltare quando veniva colpito.

si cercava di colpire la mazza piccolina, come nella foto per farla saltare e quand'era in volo si colpiva il più forte possibile per farla andare il più lontano possibile.

Il campo veniva deciso prima, ovviamente, si delimitavano i punti di atteraggio del bustikke, ogni zona valeva 10 punti 20 punti ecc. fino a 100 in base alla lontnanza.

la prima squadra cominciava a lanciare dal punto di partenza a ruota tiravano tutti i suoi componenti in maniera che il secondo giocatore, sempre della stessa squadra , partisse dal punto dove era arrivato con il lancio il primo giocatore e così via. Quando tutti i giocatori di una squadra avevano lanciato, si vedeva dove era arrivato 'u bustikke con l'ultimo tiro, sempre misurandolo dal punto di partenza, si assegnavano i punti. A questo punto il giocatore della seconda squadra prendeva 'u bustikke, sempre da quel punto,  cercava con la mano di tirare verso la base per prendere la mano: si stabiliva quale era il raggio intorno alla base nel quale doveva arrivare 'u bustikke per cambiare di mano (in genere erano i 10 punti). Se il lancio faceva capitare 'u bustikke nella base  la squadra il cui giocatore aveva fatto il lancio perfetto vinceva la partita mentre se capitava entro i 10 punti toccava alla seconda squadra partire dalla base. Se invece 'u bustikke arrivava fuori dai 10 punti, si misurava la distanza dalla base e si assegnavano i punti alla prima squadra.Però, quando il giocatore lanciava 'u bustikke con la mano, il giocatore della prima squadra che per ultimo aveva tirato con la mazza, poteva, sempre con l'aiuto di quest'ultima, prenderlo al volo e lanciandolo lontano attribuendo alla sua squadra i punti previsti per il suo lancio e quindi il giocatore della seconda squadra riprovava. Quando con il lancio si raggiungeva o superava il limite del campo (100 punti) si diceva che si era preso 'u bigliett' (si era fatta una specie di strike). Le discussioni spesso nascevano dal fatto che, chi lanciava 'u bustikke con la mano si lamentava quando il giocatore con la mazza era troppo vicino alla base e gli impediva di tentare di conquistarlo; altre problematiche erano legate alle teste rotte dei passanti ( i giocatori erano sempre attenti) e ai vetri rotti di porte e finestre soprattutto ai pianterreni


NASCONDINO

Il gioco era questo:

Si faceva la conta per chi doveva andare “sotto”, mettendosi in cerchio si stabiliva da chi iniziare a contare e a chi finire, ognuno partendo dall’alto verso il basso tirava un numero con la mano, poi si partiva con la conta. Oppure sempre in cerchio, stabilito l’inizio e la fine della conta, un giocatore cantava la filastrocca:

PA-SSA PA-PE-RI-NO CON LA PI-PA IN BO-CCA, GUAI A CHI LA TO-CCA, L'HAI TO-CCA-TA PRO-PRIO TU E-SCI FU-O-RI DA-LLA TRI-BU’.

Il malcapitato di turno doveva mettersi appoggiato al muro con l’avambraccio d’avanti agli occhi e doveva contare per ogni giocatore fino a dieci quindi se c’erano 5 giocatori escluso chi andava “sotto” contava fino a cinquanta.


Gli altri giocatori dovevano nascondersi ed evitare di farsi trovare.

Una volta finita la conta doveva cercare gli altri partecipanti, una volta scovati doveva corerre alla tana e dire “trimbone” più il nome del giocatore scoperto e dove si era nascosto. Ovviamente il giocatore scoperto doveva evitare di farsi fare “trimbone” e quindi doveva correre verso la tana per fare prima lui il “trimbone”.Se arrivava prima di quello che stava “sotto” si salvava.

Quando rimaneva l’ultima persona da scovare, era la parte più bella del gioco perché, se lo scopriva, toccava andar “sotto” al primo scoperto, ma se l’ultimo riusciva ad arrivare alla tana facendo “trimbone salvatutti” salvava tutti, ritoccava la conta a colui il quale non era riuscito a scovare tutti.

Poi c’era il “buttiglione”ovvero se si diceva di aver scoperto una persona dietro un angolo o una macchina o sopra un albero e non era lui, ti ritoccava andar “sotto” Es. dietro la 126 si era nascosto Matteo, dicevi Giuseppe dietro la 126 sbagliando il nome questo era “buttiglione”.

Con questo gioco si aguzzava l’ingegno. In primis cercavi posti difficili per non essere scoperto persino dentro casa tua, ma poi ti scambiavi con un amico per far fare il “buttiglione”, soprattutto se chi andava “sotto” non era molto sveglio.


U’ CUCC’TILLE

Gioco che coinvolgeva molti ragazzini e che prevedeva la sistemazione, al centro della piazza o comunque dello spazio di gioco, ’u' cucc'till che altro non era che un barattolo di latta, quasi sempre erano le lattine delle bibite o quello dei pomodori. Si faceva la tocca e si individuava "il custode d'u’ cucc'tille". Un altro giocatore dava un calcio al barattolo riempito di alcune pietre per dargli più pesantezza in modo da farlo arrivare il più lontano possibile e ci si andava a nascondere insieme a tutti gli altri. Il giocatore scelto dalla sorte correva a recuperare il barattolo e lo rimetteva nella posizione iniziale, cercando di individuare i giocatori nascosti; doveva altresì far la guardia al barattolo perchè se un giocatore arrivava a dare nuovamente un calcio al coccio, rimetteva tutti in gioco e dando quindi a loro la possibilità di rinascondersi. Il gioco terminava quando il giocatore di turno riusciva a scovare dal loro nascondiglio tutti gli altri.Quando il giocatore che doveva trovare gli altri giocatori nascosti, non appena li avvistava doveva dire il nome del giocatore battendo a terra ù cucc'tille.

U’ CURRULLE

Il gioco della trottola.

Attorno alla trottola veniva messa una cordicella, si partiva dalla parte dalla punta,e si stringeva il più forte possibile per evitare che durante il lancio la corda si snodasse e la trottola non avrebbe girato, mentre un capo restava nelle mani del giocatore.

Si lanciava con forza, lasciando srotolare la corda che dava la rotazione.

Più la trottola girava, e più eri bravo in questo gioco. I tiri erano a “SPACCACURRULLE”, ovvero il lancio veniva effettuato dall’alto verso il basso con il braccio posizionato all’altezza dell’orecchio.

Molti prendevano anche la trottola in mano durante la fase di rotazione spostandosela sul palmo, si metteva il dito medio e l’indice in mezzo alla punta della trottola col dito medio si da una leggera spinta in modo tale da farla salire.


U jukè dù pallone

Facciamo partire il nostro racconto, da questo gioco.

Si giocava, in qualsiasi posto.

Nelle stradine strette dei “quartieri settecenteschi” si scendeva in strada, minimo dieci ragazzi, si organizzavano le squadre, si delimitava il campo.

I pali erano così composti:

un palo erano i tubi delle grondaie, l’altro invece era il fanale anteriore o posteriore della malcapitata auto il 126 la 127 o il 131 Mirafiori o il 128, e molte altre auto in alcuni casi anche le Lambrette.

I falli laterali erano i marciapiedi.

Si stabiliva prima se giocare a portieri volanti (vale a dire se il portiere poteva andare in attacco e segnare) o meno. Se valeva la sponda oppure no ( fare la sponda col muro, passare la palla al muro facendosela ritornare, così da evitare l’avversario).

Si doveva prestare molta attenzione alle vetrine dei pianterreni, perché molto fragili e poco resistenti alle pallonate. Se si rompeva un vetro, o se solo sbatteva violentemente alle porte, l’imperativo era scappare! Ovviamente portantosi dietro il pallone prima di tutto e magari si lasciava lì il maglione o il giubbotto che ci si era tolti.

Le regole principali erano due al massimo tre:

  • L’arbitro non c’era, si faceva da sé.

  • Se il pallone rimaneva incastrato sotto le macchine, ci si buttava in scivolata sotto la macchina per riprenderlo ( classico, il pallone si sporcava di olio, visto che trent’anni fa circa non esisteva la tecnologia di adesso sulle auto) l’avversario più vicino doveva compiere i famosi tre passi per dare modo a chi recuperava il pallone di poter riprendere il gioco. Esisteva già il FAIRPLAY, ma mai nessuno c’è l’aveva detto.

  • Se passava una macchina ci si fermava e poi si riprendeva dallo stesso punto in cui tutti si erano fermati.

Se caso mai il pallone veniva parato dal portiere al di fuori dell’aria di competenza si assegnava una punizione dicendo che il portiere aveva fatto “FRICCHIGNA”.

Quando poi c’era un episodio dubbio con goal a seguito, in alcuni casi ci si avvaleva del 1° emendamento “goal o rigore”, sperando che si scegliesse il rigore poiché c’era una possibilità di pararlo. In altri casi i goal venivano annullati perché si tarava la “faiola”, ovvero il tiro era troppo forte per il portiere che nel 99% dei casi era sempre il più piccolo d’età.

Si giocava per ore e ore.

I campi da calcio,dicevo, erano ovunque esistessero spazi idonei per fare questo sport.

Lo spiazzale dello stadio, dove un tempo trovavi i tufi che rappresentavano i pali delle porte, se i tufi erano pochi (poiché molti ragazzi andavano a giocare davanti allo stadio alle 3 di pomeriggio in piena estate e non solo) si utilizzavano le felpe.

Lo spiazzo della chiesa di San Pasquale era un altro “stadio” ambito. Una porta era delimitata dai cancelli d’ingresso della chiesa, l’altra porta veniva fatta con gli strumenti sopracitati, prima dell’inizio della strada.

Il campo per eccellenza era l’oratorio di San Michele. Dove oggi sorge il parco giochi, c’era uno sterrato e lì si giocava. Oppure dove c’è lo spiazzo della tribunetta.

Anche alle spalle del Comune si giocava.

Poi c’erano i campi in “trasferta” vedi il Cep, la Macchia gialla e molti altri.

Parliamo un po’ di chi doveva portare il pallone. Se oggi si fa a giro con la macchina, oggi la metto io domani tu, così era con il pallone si alternava chi poteva, ma sopratutto “CREDETEMI AVEVA LO STESSO VALORE DELL’AUTO”, in quanto i palloni o ce le bucavano le persone anziane, esauste del rimbombo delle pallonate, oppure andavano a finire sui tetti o sui balconi, se eri bravo te lo andavi a riprendere, altrimenti pace. Ricordiamo con piacere quando i nostri genitori o conoscenti, ci regalavano un pallone usato talvolta tutto sballato perché cotto dal sole trovato sui tetti, poiché andavano ad aggiustare l’antenna.