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SAN SEVERO

San Severo conserva un notevole centro storico, costellato di significativi monumenti, per il quale il 2 febbraio2006 ha ottenuto il riconoscimento di città d'arte.
Il centro cittadino, definito perimetralmente dalla
cinta muraria intervallata da sette porte, ormai completamente smantellata, fu profondamente danneggiato dal terribile sisma del 30 luglio1627. Pur conservando il sistema stradale medievale, il grande borgo antico, su cui si ergono imponenti campanili, è ricco di monumenti prevalentemente barocchi, come i tanti palazzi signorili (de Petris, del Sordo, de Lucretiis, Fraccacreta, Mascia, Recca, de Ambrosio, del Pozzo, Summantico etc.), i tre grandi monasteri delle Benedettine (oggi sede del Tribunale), dei Celestini (sede municipale dal 1813) e dei Francescani (sede della Biblioteca Comunale e del Museo Civico), e le scenografiche chiese di santa Maria della Pietà e san Lorenzo (entrambe monumenti nazionali) e di san Nicola e della Trinità.
Cuore del centro è la
chiesa matrice di san Severino, dedicata al primo e principale patrono della città e diocesi, che conserva un aspetto esterno di impronta romanica, con rosone e raffinato archivolto in pietra d'età federiciana. La vasta Cattedrale, dedicata a santa Maria assunta, è frutto di numerosi rimaneggiamenti; all'interno conserva, tra l'altro, un prezioso fonte battesimale del XII secolo e importanti dipinti settecenteschi (di D'Elia, Mollo e altri solimeneschi). Altri edifici sacri d'interesse storico e artistico sono la Collegiata di san Giovanni Battista (con belle tele di Nicola Menzele) e le chiese di santa Maria del Carmine (con grande cupola affrescata da Mario Borgoni), sant'Agostino (santuario del Soccorso), san Francesco d'Assisi, sant'Antonio abate, santa Croce, santa Maria di Costantinopoli (dei Cappuccini), san Sebastiano (o della Libera), santa Lucia, santa Maria delle Grazie e san Matteo (o san Bernardino).
Interessanti sono anche il Palazzo Vescovile, più volte rimaneggiato, e il secentesco Palazzo del Seminario, ampliato nell'Ottocento. Altro vanto della città è l'imponente
Teatro Comunale, il massimo edificio teatrale della Capitanata e tra i maggiori di Puglia, inaugurato nel 1937 e oggi dedicato a Giuseppe Verdi. La lussureggiante Villa Comunale, con vasto giardino pubblico ottocentesco con lunghi viali che convergono verso una collinetta artificiale detta Montagnella.
Il cospicuo patrimonio artistico e architettonico sanseverese non si esaurisce nell'area urbana: l'agro che circonda la città, attraversato dalla lunga via erbosa dello storico
"Tratturo del Re" (il maggiore dei tratturi della transumanza), è costellato di numerose imponenti masserie, suggestive plurisecolari architetture rurali, spesso fortificate. Tra le maggiori spiccano le masserie Torretta, del Sordo, Tabanaro, Scoppa, San Matteo, Antonacci e Torre dei Giunchi.

 

TORREMAGGIORE

 

Castello


 

 

Di rilevante interesse storico è il castello dei duchi di Sangro: ampliato a più riprese intorno a un'originaria torre normanna, si è cristallizzato in forma rinascimentale. Formato da sei torri, quattro circolari e due quadrate. La solenne sala del trono è circondata da un ricco fregio ad affresco realizzato nel Seicento. Il piano ammezzato ospita la mostra archeologica dei reperti di Fiorentino. Il castello ducale di Torremaggiore è monumento nazionale

 

 

CASTELFIORENTINO


Chiamato anche Torre Fiorentina a 10 km a sud di Torremaggiore, Castelfiorentino è il nome odierno di un sito, abbandonato, sul quale si vedono i resti  recentemente scavati, almeno in parte, di una piccola città medievale chiamata Florentinum. Ubicata su uno sperone di forma allungata, fu edificata, come le altre città bizantine della Capitanata, su una pianta ortogonale, con una grande via longitudinale e viuzze perpendicolari. Senza dubbio all'estremità dello sperone (verso ovest) si ergeva un castello normanno costruito alcuni decenni più tardi (Fiorentino fu due volte capitale di una piccola contea negli anni 1080-1090, poi negli anni 1180); all'altra estremità, probabilmente sin dalla fine del XII sec. la città era prolungata da un sobborgo, ben visibile sulle fotografie aeree. Il territorio della città, che si estendeva nella zona delle colline subappenniniche, pure di superficie ristretta, ospitava almeno un casale, S. Salvatore, che scomparve durante l'occupazione musulmana di Lucera.Non si sa quando, nell'ambito del rimaneggiamento del territorio della Capitanata, Federico II decise di farsi edificare una domus solaciorum nella città (o piuttosto a fianco); supponiamo che essa sia stata eretta abbastanza presto, in quanto non riveste la forma dei palazzi federiciani più recenti (v. Palatia). Sembra evidente comunque che la domus abbia occupato il posto (probabilmente una motta di origine normanna ben difesa) sul quale sorgeva il castello normanno, separato dalla città con un muro. Tale sostituzione di un castello difensivo con una domus non specificamente fortificata nella parte centrale della Capitanata, che non sembra documentata in altri posti, corrisponde bene all'idea secondo la quale l'intera regione sarebbe stata protetta dai castelli periferici.
La domus federiciana, completamente interrata, è venuta alla luce quando si è scavata la parte più alta del sito. Si innestava su strutture preesistenti (del castello), ed è stata in seguito rimaneggiata, probabilmente in età angioina, dai signori della città. Si trattava di un edificio maestoso, di pianta quasi rettangolare, lungo 29 m e largo 17 m, con uno spazio utile interno di 275 m2, costituito da due stanze lunghe leggermente spostate l'una rispetto all'altra. I muri, spessi 1,50 m, erano coperti da un rivestimento di belle pietre. Certo la pianta della domus di Castelfiorentino era molto meno sofisticata di quella dei palazzi di Castel del Monte, di Lucera e anche di Gravina.
Quattro aperture strette e protette permettevano l'accesso dall'esterno. All'interno, le pareti erano rivestite di intonaco e il suolo di mattonelle disposte in opus spicatum. La stanza ovest era munita di due camini, i muri della stanza est di banchi di pietra. Tre archi di tufo sostenevano un soffitto o una volta su ogni stanza. L'edificio doveva comprendere un piano superiore, non conservato, ma probabilmente ornato di finestre con colonnine scolpite. Frammenti di capitelli, di colonne e di pilastri, di cornicioni, di archi a ogiva, di vetrate policrome testimoniano la ricchezza della decorazione interna della residenza imperiale.
Federico II, che disponeva di tante domus, in particolare nella Capitanata dove risiedeva più spesso, non avrebbe avuto occasione di visitare quella di Castelfiorentino (non visitò mai neanche Castel del Monte) se la malattia non l'avesse costretto a passare in essa gli ultimi giorni della sua vita.

 

SERRACAPRIOLA

 

CASTELLO


Il fulcro centrale della cittadina è il Castello che, secondo la planimetria dell’antico borgo Serrano, doveva essere situato nel punto più alto della collina e lievemente distante dalle altre abitazioni.
Esso si sviluppa intorno al mastio ottagonale costruito intorno ai primi decenni del XIII sec, dunque in piena dominazione federiciana - sveva. Si tratta di una fabbrica realizzata con basamento a scarpa, come tutto il resto del castello, realizzato con opus incertum, e sovrastata da mattoni disposti in orizzontale che si alternano con un ritmo costante a due filari di mattoni disposti a spinapesce.
Con tali stratificazioni, si ritiene che i costruttori abbiano raggiunto ottimi risultati sia formali (l’effetto è davvero spettacolare) che costruttivi nella struttura di difesa muraria.
Alla sommità della torre si accede tramite una scala a chiocciola, di magnifica fattura, in legno così stretta da potervi salire una persona alla volta.
Alla torre stellata, si aggiunse poi in un tempo databile fra il XIV secolo ed il 1635 (data che segna l’ingresso dei d’Avalos), il corpo vero e proprio del castello di forma rettangolare ai cui spigoli sono posti i torrioni circolari decorati da archetti e da beccatelli d’origine lombarda.
In questa fabbrica lo spigolo del mastio che dava all’interno è stato come tagliato per dare posto ad un cortile cinquecentesco. La storia narra di una profonda voragine con il nome di "il trabocchetto" che il De Leonardis descrive come un artificioso meccanismo con una ruota dentata che girava continuamente ed era capace di triturare, in pochi minuti, le ossa di chi vi veniva spinto; aggiunge inoltre che furono proprio i duchi Maresca a far tappare quell’imbuto capovolto per chiudere la pagina di terrore vissuta dai serrani sotto i d’Avalos.

l Convento e la chiesa di Maria SS. delle Grazie


Il Convento, che dista circa 1,5 Km. dalla piazza principale del Centro Storico, fu fondato nel 1531. La Chiesa, costruita contemporaneamente al convento, fu consacrata alla Vergine delle Grazie, di cui troviamo, sull'altare maggiore, il simulacro. In seguito alla legge per la soppressione degli Ordini Religiosi, emanata da Gioacchino Murat il 7 agosto 1809, fu chiuso nel 1810 e riaperto nel 1817 col ritorno dei Borboni a Napoli. Fu chiuso di nuovo nel 1867 per una seconda legge di soppressione degli Ordini Religiosi del 7 luglio 1866, riaperto nel 1880 dal P.Mariano da S.Nicandro Garganico. Il convento di Serracapriola riprende, a fine secolo e ad inizio del 1900, la sua funzione di luogo di formazione, che era stata una sua prerogativa preminente anche nel passato.

 

CHIESA DEI PADRI CAPPUCCINI

Fu costruita contemporaneamente al convento con molta semplicità francescana, da modesti costruttori. La sua volta a botte si gira in due punti che portano archi non affatto simmetrici.
Ha due Cappelle a sinistra di chi entra. Nella prima è la statua del Redentore, bizantina, nella seconda il quadro della Vergine di Pompei; a destra vi sono due aItari, su quello più vicino alla porta vi è la statua di S. Antonio e sull'altro quella del Serafico.
Fu consacrata il 13 giugno 1703 e dedicata alla Vergine delle Grazie. Fin dalla sua origine questa Chiesa, come già abbiamo accennato, è stata priva di arte; una bellezza, una grandezza però ha sempre avuto, ed è il quadro miralcoloso della Vergine delle Grazie. Il lavoro è dipinto su tavola: l'Augusta Regina ha la fronte serena, pensosa, il volto amabile su cui si leggono infinite tenerezze materne, sulle sue ginocchia è seduto vezzoso il celeste Bamblno, che Ella guarda con affetto sovrumano.

 

 

ABBAZIA DI SANT'AGATA


Dedicata a Sant'Agata martire, l'abbazia è situata al margine nord-est del territorio serrano.
ln Sant'Agata era attivo un allevamento zootecnico che, dopo la cerealicoltura, era il secondo cespite delle entrate dell'abbazia. Prevalente era l'allevamento ovino; seguiva quello bovino (bufali}, poi quello dei maiali, delle giumente, la cui razza era stimata per una delle più famose di quelle parti e, infine, quello delle api che davano miele. I monaci dal canto loro, sfruttando la Glycyrrhiza Glabra, che abbondava nel "Parco dei Quaranta" distillavano un prezioso liquore... A Sant'Agata, oltre la chiesa, sorgevano una grande masseria e molte case per massari e lavoranti.


APRICENA

 

Nel centro abitato si possono ammirare interessanti monumenti quali il Palazzo baronale o Torriolo, la Torre dell'orologio, la Croce di piazza dei Mille, il Convento presso la Villa Comunale e la Chiesa Madre dei santi Martino e Lucia. Nella campagna apricenese sono rintracciabili le rovine di Castelpagano, Santa Maria di Selva della Rocca e quelle del monastero di San Giovanni in Piano.
Nella cava dell'Erba, in località Pirro Nord, durante i lavori di estrazione della pietra, è stata rilevata un'abbondante presenza di fossili rappresentanti più di 100 specie diverse, risalenti al periodo villafranchiano superiore, compreso tra 1,7 e 1,3 milioni di anni fa: oltre ai vertebrati fossili, sono stati ritrovati molti manufatti litici.

 

Chiesa Madre

Risale al XII secolo la costruzione della Chiesa Matrice dedicata a S. Martino Vescovo di Tour e la seconda chiesa parrocchiale intitolata inizialmente come Arcipretura di S. Lucia, seconda Chiesa intramenia assieme a quella di S. Antonio con l'attiguo convento dei frati minori francescani. La facciata che guarda la piazza è rimasta incompleta, mentre il prospetto della porta maggiore, cui si accede mediante tre scalini di pietra, è ben architettato. Sul fregio, a grandi caratteri si legge: “MONSTRA TE ESSE MATREM”. Tra i vari rifacimenti che si sono susseguiti nel tempo ricordiamo quello del 1819, quando la Chiesa fu dotata di organo la cui collocazione portò alla chiusura del finestrone centrale e all'apertura dei due laterali. Nel 1903 la Chiesa fu nuovamente restaurata, fu ampliata con una piccola cappella praticata alla base del campanile, dov'era collocata la nicchia con la statua di S. Gioacchino.

 

San Giovanni in Piano

A nord-ovest di Apricena, sul ciglio delle Murge sorge, solitario, il Monastero di San Giovanni In Piano. Nella platea settecentesca si legge: "Verso l'anno del signore 1050 Petronio Conte di Lesina per sua special devozione fondò dentro i suoi Feodi, e propriamente nel luogo detto Piano un celebre monastero dell'ordine del Patriarca S. Benedetto, e perché la chiesa fu dedicata al glorioso Precorsore S. Giovanni Battista, chiamassi in avvenire il monastero di S, Giovanni in piano. Nell'anno 1077 si portò con tutta la sua corte il medesimo conte Petronio nel monastero ad assistere alla solenne dedicazione del tempio; ed ivi con tutte le solite solennità donò graziosamente molti Feodi, e territori, che si rese celebre nommeno per la Santità dé Religiosi, che per le ricchezze, e Signorie. La donazione fu fatta dal conte Petronio ad Aimardo Abate del monastero, quale poi fu confermata nel 1179 da Goffredo Conte di Lesina e nipote di Petronio, essendo allora Abate di S. Giovanni in piano Rinaldo" . Nel 1221, Federico II riconosceva al monastero benedettino di San Giovanni in Piano il diritto a conservare i propri beni e feudi riservando alla curia imperiale il casale di Precina (Casale di Apricena). Il monastero rimase benedettino sino al ai primi anni del 1280, con l'insediamento dell' ordine dei Celestini, tanto che vi si attesta, in questi anni, la presenza di Pietro, futuro papa Celestino V e San Pietro da Morrone.
I Celestini rimasero nel territorio della Precina sino alla fine del XIV secolo quando si trasferirono nella più tranquilla San Severo. Attualmente San Giovanni in Piano è in completo stato di abbandono e il monastero della SS Trinità è divenuto sede del municipio di San Severo.

 

 

Selva della Rocca

Seguendo l'antica strada che collegava Apricena con Sannicandro Garganico, ad uno svincolo posto a circa cinque chilometri vi è una diramazione che porta a quello che ormai resta del sito di Madonna della Rocca, in località omonima. La chiesa probabilmente fu edificata tra il VIII e il IX sec. ad opera dei monaci benedettini di San Vincenzo al Volturno, poco dopo il loro insediamento. Il fabbricato consisteva in una cella con aggregate delle piccole costruzioni per il ricovero dei monaci stessi che si occupavano del controllo dei pascoli circostanti. Nell'XI sec. la chiesa passa sotto il controllo del conte di Lesina con l'arrivo dei Normanni, e successivamente ai cavalieri Teutonici, i quali dedicano la chiesa al culto Mariano, la ristrutturano sopraelevandola e realizzando nei suoi pressi case, pozzi, piscine e peschiere e muri di cinta. La chiesa, con pianta a croce latina con transetto, è pensata con un'unica navata absidata; il braccio destro del transetto risulta anch'esso absidato, mentre il braccio sinistro ne risulta attualmente privo, anche se vi sono tracce di una antica struttura absidata. La caratteristica principale di questa chiesa, è il doppio livello, di cui quello superiore era raggiungibile attraverso una scala esterna; il solaio separatore dei due livelli era costruito in legno come pure il tetto di copertura. L'interno, lineare nel complesso, rivela sotto gli strati di intonaco e dipinture, sprazzi di affreschi paragonabili nei tratti e nei colori a quelli mirabili di S. Maria di Monte D'Elio, in territorio di Sannicandro Garganico.

 

Torre dell'Orologio

 

 

 

Questa torre è ciò che rimane del campanile della Chiesa Matrice intitolata a San Martino: infatti sulla facciata si può leggere l'epigrafe datata 1282. Sul lato est vi è una ampia porta ogivale murata con due capitelli anch'essi murati. La torre ospita, alla sua sommità, all'interno di una torretta in mattoni, l'orologio civico, risalente alla fine del secolo scorso. La Torre è di proprietà privata, mentre la parte superiore di proprietà pubblica.

 

 

 

 

 

 


Non si sa quando, nell'ambito del rimaneggiamento del territorio della Capitanata, Federico II decise di farsi edificare una domus solaciorum nella città (o piuttosto a fianco); supponiamo che essa sia stata eretta abbastanza presto, in quanto non riveste la forma dei palazzi federiciani più recenti (v. Palatia). Sembra evidente comunque che la domus abbia occupato il posto (probabilmente una motta di origine normanna ben difesa) sul quale sorgeva il castello normanno, separato dalla città con un muro. Tale sostituzione di un castello difensivo con una domus non specificamente fortificata nella parte centrale della Capitanata, che non sembra documentata in altri posti, corrisponde bene all'idea secondo la quale l'intera regione sarebbe stata protetta dai castelli periferici.
La domus federiciana, completamente interrata, è venuta alla luce quando si è scavata la parte più alta del sito. Si innestava su strutture preesistenti (del castello), ed è stata in seguito rimaneggiata, probabilmente in età angioina, dai signori della città. Si trattava di un edificio maestoso, di pianta quasi rettangolare, lungo 29 m e largo 17 m, con uno spazio utile interno di 275 m2, costituito da due stanze lunghe leggermente spostate l'una rispetto all'altra. I muri, spessi 1,50 m, erano coperti da un rivestimento di belle pietre. Certo la pianta della domus di Castelfiorentino era molto meno sofisticata di quella dei palazzi di Castel del Monte, di Lucera e anche di Gravina.
Quattro aperture strette e protette permettevano l'accesso dall'esterno. All'interno, le pareti erano rivestite di intonaco e il suolo di mattonelle disposte in opus spicatum. La stanza ovest era munita di due camini, i muri della stanza est di banchi di pietra. Tre archi di tufo sostenevano un soffitto o una volta su ogni stanza. L'edificio doveva comprendere un piano superiore, non conservato, ma probabilmente ornato di finestre con colonnine scolpite. Frammenti di capitelli, di colonne e di pilastri, di cornicioni, di archi a ogiva, di vetrate policrome testimoniano la ricchezza della decorazione interna della residenza imperiale.
Federico II, che disponeva di tante domus, in particolare nella Capitanata dove risiedeva più spesso, non avrebbe avuto occasione di visitare quella di Castelfiorentino (non visitò mai neanche Castel del Monte) se la malattia non l'avesse costretto a passare in essa gli ultimi giorni della sua vita.