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L'attacco di panico si manifesta nel contesto di molti disturbi d'ansia.
È necessario effettuare

una diagnosi differenziale dell'Attacco di Panico per inquadrare correttamente il disturbo d'ansia di cui il paziente soffre, insieme ad un esame psicodiagnostico che consenta di andare al di là dei sintomi e comprendere la struttura della personalità che li ha prodotti.
Gli attacchi di panico si generano, infatti, com reazioni inconsce a situazioni di “pericolo” attuali, mascherando una preoccupazione più profonda, meno accettabile: l'angoscia che si sviluppa non sorge per caso, ma è un segnale del fatto che stiamo affrontando una situazione conflittuale da un punto di vista emotivo.
L'esordio del disturbo avviene prevalentemente in fase adolescenziale (in particolare il picco massimo si raggiunge tra i 15 e i 19 anni) e in età adulta (verso i 35 e difficilmente dopo i 45 anni); variazioni rispetto alla distribuzione generale sono rappresentate da un numero esiguo di casi.
La spiegazione per una maggiore incidenza in alcune fasce di età è da ricercarsi nei cambiamenti che caratterizzano questi periodi di vita e che costituiscono un evento scatenante del disturbo, facilitando la “rimessa in gioco” di vecchi conflitti.

Fattori eziologici

I fattori eziologici individuati dalla ricerca di questi ultimi decenni sono molteplici: fattori genetici, esperienze traumatiche, carenze del sé in relazione al legame di attaccamento.
Alcune ricerche suggeriscono il ruolo significativo svolto dalla predisposizione genetica allo sviluppo di un disturbo d'ansia. Sottolineo che si tratta di “predisposizione” poiché da un punto di vista clinico si osserva spesso la presenza di un'esperienza traumatica e/o di carenze nello sviluppo psicologico dei pazienti con disturbo d'ansia.
Un'esperienza traumatica provoca sensazioni di vulnerabilità e impotenza, ossia la sensazione che non si può controllare quello che sta accadendo, e la paura e la l'incapacità di far fronte ad eventi imprevedibili ed incontrollabili è un elemento sostanziale nell'esperienza del disturbo d'ansia.
Rispetto alle carenze nello sviluppo psicologico del sé, è importante sottolineare il ruolo che assumono gli eventi reali e le relazioni genitore-figlio nella vita psicologica dell'individuo.
Nei pazienti con disturbo d'ansia spesso si osserva una storia evolutiva caratterizzata dall'accettazione dei bisogni e delle emozioni dell'altro come propri, anche se non corrispondono con i propri bisogni e con le proprie emozioni. La motivazione che spinge il paziente ad accettare
per vero ciò che non sente come tale è il bisogno indiscusso di essere accettato e amato, elementi senza i quali nessuno di noi potrebbe “sopravvivere”. Questo compromesso porterà col tempo a non sapere più riconoscere ciò che sente veramente, a non sentire e riconoscere i propri bisogni, le proprie emozioni.
Un altro elemento è il senso di vergogna: sentirsi indegno, inferiore, disgustoso. Queste percezioni distorte e distruttive di sé si sviluppano inizialmente attraverso gli atteggiamenti e le risposte nocive degli altri e successivamente vengono interiorizzate divenendo valutazioni soggettive del proprio comportamento e della propria persona. Il rischio di confrontarsi con un'immagine imbarazzante di sé produce ansia e il paziente mette in atto diversi processi difensivi per proteggersi dal confronto con queste percezioni dolorose di sé.
A questo quadro va aggiunto un altro elemento, non ultimo per importanza, poiché rappresenta un aspetto che ho riscontrato con notevole frequenza non solo nei pazienti con disturbo d'ansia ma in chi soffre di un disagio psichico. È la capacità di esprimere le proprie emozioni. È un aspetto che si ricollega al falso sé descritto sopra, ma che ho voluto analizzare a se poiché spesso questa incapacità è da ricondursi ad una mancata educazione emozionale. Il paziente apprende sin da piccolo che “non va bene” esprimere i propri sentimenti. L'esito di questi messaggi è che il paziente teme le proprie emozioni e inizia a reprimerle. Il risultato è l'esperienza di panico quando queste emozioni rimosse o negate si riaffacciano alla coscienza.
Si tratta in ogni caso di fattori interconnessi, che non possono essere considerati separatamente l'uno dall'altro. 
Considerazioni finali La domanda che frequentemente il paziente pone è come sia possibile che una crisi così forte e debilitante, con manifestazioni neurovegetative importanti, possa avere un'origine psicologica.
Spesso infatti la crisi di panico si presenta alla persona senza evidenti contenuti psicologici. Questo accade perchè mente e corpo sono un tutt'uno, mai separati: la mente è una funzione del nostro corpo e come tale ne influenza le attività. Non esiste una psicologia che non sia fisiologia e viceversa.
Chi soffre di attacco di panico non è “pazzo”, anche se può avere la sensazione di impazzire. Il soggetto che abbia avuto uno o più attacchi di panico riconosce sempre e soffre dei propri sintomi ed è da tale riconoscimento che può nascere una spontanea richiesta di aiuto.
Molti credono che chiedere aiuto sia una sorta di sconfitta poichè si ritiene che sia necessario farcela da soli. Chiedere aiuto non significa non riuscire da soli, ma esattamente l'opposto: significa essere consapevoli che esistono metodi di cura e quindi, semplicemente, usufruirne.
Rispetto all'intervento, pur esistendo tipi di trattamento specifici per i disturbi d'ansia, occorre per lo psicologo valutare quale possa essere il più efficace, e nel più breve tempo possibile, per uno specifico paziente.

dr.ssa Luana Rizzi
Psicologa Clinica a Foggia