Nel 1934, il neuropsichiatra Ladislas von Medusa, inietta un farmaco in grado di provocare una lunga convulsione in un paziente di trent’anni con una grave schizofrenia catatonica che da quattro anni non si muoveva dal suo letto. Dopo le convulsioni il paziente non solo tornò a stare meglio ma dopo altre sette applicazioni venne dimesso e riuscì addirittura a lavorare tranquillamente. Il successo di questo caso fu tale che nel giro di pochi anni la terapia venne applicata in tutto il mondo.
L’idea di indurre le convulsioni applicando una corrente elettrica arriva successivamente nel 1938. Ugo Cerletti, neurologo esperto di epilessia, e il suo collaboratore Lucio Bini, dopo aver sperimentato la tecnica elettroconvulsivante sugli animali, si sentirono pronti per applicarla all’uomo. Il candidato “fortunato” fu un paziente schizofrenico di 39 anni, molto disorganizzato e agitato al quale venne somministrata una scossa di un secondo. Dopo 11 trattamenti, anche questo paziente riprese una vita regolare.
Che cosa è, allora, l’elettroshock?
La terapia elettroconvulsivante è caratterizzata dal passaggio per breve durata (da 0,1 a 0,8 secondi) di corrente elettrica alternata con un voltaggio compreso tra i 110 e i 140 volt, mediante due elettrodi posti simmetricamente sulla cute delle regioni fronto-temporali (sulle tempie). L’elettroshock viene praticato di solito due-tre volte alla settimana, previa narcosi (anestesia), per un numero complessivo di 8-12 applicazioni, massimo 20.
Si usa ancora oggi questa forma di trattamento?
Purtroppo (ma è la mia personale opinione!) sì, si usa ancora oggi, anche se l’impiego di questa terapia è andato scemando via via nel tempo a causa delle forti critiche sulla liceità circa l’uso di uno strumento meccanico per curare disturbi psichici, per l’indeterminatezza delle sue modalità d’azione e per i suoi gravi effetti collaterali (danni miocardici e disturbi della memoria per i fatti più recenti). Oggi, per fortuna, praticamente possiamo dire che questa terapia violenta e coercitiva è stata definitivamente abbandonata e sostituita da terapie meno invasive ed ugualmente efficaci (psicofarmaci e psicoterapia), anche se nel 2007 è stata fondata da un gruppo di psichiatri, l’Associazione italiana per la terapia elettroconvulsivante (AITEC) con lo scopo di favorire il diritto del malato di poter scegliere fra tutte le opportunità terapeutiche, anche quella dell’elettroshock.
In quali patologie può essere utilizzato questo trattamento?
Anche se non si conosce precisamente il meccanismo d’azione dell’elettroshock, molti studi attestano che si possono ottenere dei benefici su determinate patologie mentali molto gravi resistenti alle terapie farmacologiche: depressioni endogene, arresti psicomotori, schizofrenia catatonica.
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