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A tutti può capitare di vivere un periodo della propria esistenza permeato da un certo grado di insicurezza, di delegare ad altri alcune questioni cruciali per la propria vita, di non essere capaci di decidere che vestito indossare senza il consiglio di qualcuno, di non riuscire ad esprimere il proprio disaccordo per cercare di mantenere a tutti i costi la relazione con quella persona. Nel momento in cui tali esperienze, però, diventano una modalità costante di rapportarsi agli altri, si potrebbe profilare un quadro patologico chiamato “Disturbo di Personalità Dipendente”.
Le persone colpite da questo disturbo sono convinte di non essere in grado di badare a loro stesse e di dover, quindi, necessariamente chiedere aiuto agli altri; pensano che solo con questo aiuto potranno sopravvivere.
Un’immagine che a me piace per esprimere l’essenza della dipendenza è quella di un bambino piccolo che all’improvviso sente di non farcela ad affrontare il mondo e si mette a piangere perché vuole la mamma. Così si sente chi è dipendente dagli altri, un bambino piccolo in un mondo di adulti: senza un adulto che si prenda cura di lui, si sente solo e perso.
La convinzione di non essere capaci di prendersi cura di sé può spingere questi pazienti a sottomettersi a qualunque desiderio del partner, tollerando abusi, prepotenze, maltrattamenti e altre situazioni spiacevoli pur di mantenere il legame, che ritengono indispensabile alla loro esistenza.

Ma allora ogni forma di dipendenza da un’altra persona è patologica?

Assolutamente no! Un’indipendenza assoluta dagli altri non è né possibile né auspicabile. Un certo grado di dipendenza dagli altri è inevitabile ed è legato a un aspetto fondamentale della nostra vita: l’autostima. Per tutta la vita, infatti, abbiamo bisogno di risposte empatiche da parte delle altre persone, che ci aiutano a mantenere la stima di noi stessi. In questa prospettiva le figure genitoriali svolgono un ruolo fondamentale: il bambino si rispecchia negli occhi dei genitori, richiedendone l’approvazione; questa esigenza di rispecchiamento nello sguardo degli altri permane per tutta la vita, ed è essenziale per la nostra autostima e per la formazione di una “sana” identità e personalità.
Molti pazienti con personalità dipendente, purtroppo, sono cresciuti con dei genitori iperprotettivi, invadenti ed eccessivamente coinvolti dal punto di vista emotivo, in un clima familiare nel quale indipendenza e autonomia erano associate all’idea di pericolo e quindi venivano scoraggiate in tutti i modi, mentre la vicinanza emotiva e fisica ai genitori era “premiata”.

OK. Ho capito che probabilmente soffro di questa dipendenza dagli altri. Che posso fare per sbarazzarmene?

Segui i miei consigli:

1.    Cerca, innanzitutto, di comprendere il perché di questa tua condizione di dipendenza, ripensando a quando eri bambino. Qual è la tua storia? Com’erano i tuoi genitori con te?
2.    Fai un elenco di tutte le situazioni in cui attualmente senti di dipendere dagli altri.
3.    Sforzati di affrontare regolarmente tutte le situazioni, le attività e le decisioni di ogni giorno senza chiedere aiuto a nessuno (lì dove possibile ed auspicabile!). Comincia da quelle più facili per te.
4.    Quando il primo tentativo non ha successo, non arrenderti: continua a provare finchè ci riesci.
5.    Se hai troppa difficoltà, cerca l’aiuto di uno Psicoterapeuta.

 

P.S.: Se avete dei quesiti da porre a Salvatore Panza, scrivete direttamente alla casella di posta del Dottore: salvatore_panza@virgilio.it. Per altre informazioni visitate il sito: www.salvatorepanza.it oppure telefonate al: 340.2351130.

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Chi di noi, da bambino, non ha rivaleggiato con fratelli e sorelle per attirare l’attenzione dei genitori? Chi non ha mai detto le seguenti frasi: “Perché lui può stare alzato fino a tardi ed io no?”, “Lui, però, ha sempre più di me!”, “A lui fai sempre i regali più belli!”, “Perché lui sì e io no?”, ecc… Lo abbiamo fatto, pressocché, tutti, ed è assolutamente normale. Il legame fraterno è contrassegnato da affetto e solidarietà, ma anche da rivalità e gelosie. La gelosia nell’infanzia non è patologica, ma rappresenta un aspetto fisiologico e naturale dello sviluppo.

Cerchiamo di capire il perché di tale gelosia e soprattutto vediamo che cosa possiamo fare, da genitori, per prevenirla, aiutando così i nostri piccoli a sentirsi più sicuri.

Alla nascita un neonato è completamente dipendente dai genitori e ben presto (intorno ai 6 mesi) si accorge che da solo non potrebbe sopravvivere. Impara che se i genitori lo amano, lo proteggono, se è “nella loro mente”, allora non corre pericoli. Ecco perché i bambini già a questa età sono molto possessivi nei confronti dei genitori e non amano vederli con in braccio un altro bambino. Crescendo (intorno ai 2 anni), questa gelosia assume caratteristiche un po’ diverse: incominciano a subentrare manifestazioni fisiche di dissenso come spintoni, graffi e schiaffi. A 3-4 anni incominciano i veri e propri scontri fisici accompagnati eventualmente anche da qualche parolina non proprio gradevole. Tra gli 8 e i 12 anni iniziano le derisioni e le sfide psicologiche volte a stabilire “chi è il più forte”. Tutto questo, ovviamente, non è facile da gestire per i genitori ma se vi può consolare vi posso dire che vi sono anche aspetti positivi in queste lotte fraterne: insegnano a difendersi, ad affermare i propri diritti, ad esprimere i propri sentimenti e ad acquisire una propria indipendenza e differenziazione caratteriale dal fratello in questione. Diverso è, invece, quando la rivalità diventa eccessiva o addirittura “cattiva”. In questi casi i genitori devono intervenire, separando i fratelli, per evitare che queste lotte fraterne diventino distruttive per l’autostima del bambino più debole, intaccando il suo senso di sicurezza personale. Con quel gesto, i due bambini stanno richiedendo un po’ di attenzione in più da parte dei genitori: un consiglio che posso darvi è quello di dedicare un po’ di tempo, singolarmente ed alternativamente, ad ogni figlio (fare una passeggiata insieme, andare al supermercato, parlare e giocare con lui, ecc…).

Vediamo ora una situazione molto comune: come si sente un bambino quando nasce un fratellino o una sorellina?

Si sente ferito! È questo uno dei momenti in cui la gelosia è più evidente. Il primogenito si sente abbandonato da sua madre che va all’ospedale per avere un altro bambino. Quando torna a casa si accorge che i suoi genitori e tutti gli altri parenti trascorrono la maggior parte del tempo con il neonato ignorando il fratellino più grande. Molto spesso in tali situazioni, il primogenito tende a “regredire” cioè a recuperare comportamenti che aveva in età precedenti e che aveva ormai superato: incomincia di nuovo a fare la pipì a letto, a voler essere cullato, a voler bere dal biberon, ecc… Il consiglio che vi do è di assecondarlo, di non sgridarlo o farlo sentire “strano”. Il bambino, in questo modo, sentendosi compreso nelle sue esigenze e bisogni, si tranquillizzerà e nel giro di qualche giorno riprenderà le sue normali abitudini di bambino più grande. Un altro consiglio che vi posso dare è quello di annunciare almeno due mesi prima la nascita del nuovo fratellino/sorellina, magari accompagnando quel momento con un regalino che sancisca il suo nuovo ruolo di “fratello maggiore”. Quando nascerà il fratellino, sarà bene coinvolgere il primogenito chiedendo il suo aiuto in qualche momento perché questo lo farà sentire importante e non escluso.  

Ricordate che un bambino si comporterà sempre secondo le aspettative degli altri, specialmente di quelli che hanno autorità su di lui (genitori, insegnanti, ecc…), per cui trattate i vostri figli come se fossero già quello che desiderate che siano, lodando i risultati positivi piuttosto che criticare quelli negativi.   

P.S.: Se avete dei quesiti da porre a Salvatore Panza, scrivete direttamente alla casella di posta del Dottore: salvatore_panza@virgilio.it. Per altre informazioni visitate il sito: www.salvatorepanza.it oppure telefonate al: 340.2351130.

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Durante i miei seminari e corsi di formazione, parlo spesso del “cervello dell’essere umano e delle sue credenze”. Continuo a ripetere che “se vuoi cambiare la Tua vita devi prima cambiare la Tua mente”. Di solito i partecipanti mi pongono la classica domanda: ma cosa c’entra il cervello e le credenze con la capacità di comunicare bene, di riuscire a fare quella determinata cosa o di diventare un vincente nella vita? Non ricordo più quanti seminari ho fatto, ma la mia risposta è sempre la stessa: TUTTO. Sei Tu, con i Tuoi pensieri, le Tue credenze e i Tuoi atteggiamenti a condizionare tutta la Tua vita. Tutto passa attraverso la Tua mente. E’ IL TUO CERVELLO CHE FA LA DIFFERENZA!

Sappiamo bene, infatti, che sono i nostri pensieri a creare la nostra realtà.
I nostri pensieri sono formati dalle nostre convinzioni/credenze circa qualcosa.
Le credenze hanno un enorme potere su di noi, sulla nostra vita e sugli altri. Le nostre convinzioni, infatti, possono limitarci e bloccare la nostra crescita oppure possono espanderci e portarci allo sviluppo e alla nostra realizzazione personale. Gran parte della nostra vita dipende, quindi, dalle nostre convinzioni, le quali determinano il nostro stato d’animo, le nostre aspettative, i nostri comportamenti e i nostri risultati.
Da quando nasciamo assimiliamo miliardi di informazioni che arrivano dall’esterno, dalla famiglia, dagli insegnanti, dalla scuola, dalla società, dalle amicizie ecc… e attraverso le nostre personali informazioni plasmiamo la nostra realtà individuale.
Una realtà “nostra” con la quale vediamo, sentiamo e percepiamo noi stessi, gli altri, le cose, gli eventi ed il mondo.

Le convinzioni che ci siamo costruiti nel tempo possono essere distinte in: potenzianti o limitanti. Potenzianti perché permettono di vivere scelte utili al raggiungimento di mete della vita (ad esempio: in questo momento è possibile trovare ottime opportunità di guadagno, mi piace molto studiare la lingua inglese e ci riesco molto bene, posso riattivare il mio metabolismo facilmente e ottenere il peso forma che desidero, posso essere interessante e so come piacere alle donne/agli uomini, il movimento fisico fa bene ed è divertente, mi piace muovere il mio corpo ed andare in palestra, so gestire bene il mio tempo e mi ritaglio volentieri spazi per me stesso/a), limitanti perché limitano gli obiettivi o desideri che si possono avere (ad esempio: c’è la crisi ed è un brutto momento per l’economia, non riesco ad imparare bene la lingua inglese, ho un metabolismo lento e ingrasso qualsiasi cosa mangio, sono sfortunato/a in amore e non ho successo con le donne/gli uomini, sono pigro e non amo andare in palestra, con tutti gli impegni e doveri che ho non trovo il tempo da dedicare a me stesso/a, ecc..).

Dunque, come si fa a cambiare le credenze limitanti...?

Cambiare le tue attuali credenze è un processo relativamente semplice: hai solo bisogno di molta determinazione per insistere finchè scatta qualcosa nella tua mente. Per cominciare prova a compiere queste tre AZIONI:

1. Individua, innanzitutto, le credenze che ti stanno limitando in qualcosa

2. Sostituisci le tue convinzioni limitanti ed inutili, con delle nuove convinzioni potenzianti ed utili. Puoi anche utilizzare un quaderno per i tuoi esercizi, puoi tracciare una riga verticale centrale sul foglio e quindi dividere in 2 la pagina. Da una parte puoi scrivere le tue convinzioni limitanti per esempio sulla colonna destra, e sulla colonna sinistra puoi scrivere le tue nuove convinzioni potenzianti.
Poi rileggile una alla volta, ogni volta dicendoti:

* Fino ad oggi “avevo” creduto a….. (convinzione limitante) e questo mi “era” servito per proteggermi dalla paura di cambiare…

* Ora ho deciso di credere che …… (convinzione potenziante che sostituisce la credenza precedente) e so che questa nuova convinzione mi fa sentire bene e sento  che sta già cambiando in meglio la mia vita, a partire da adesso.

3. Potenzia e motiva te stesso: un valido strumento per formare nuove convinzioni è usare la tua immaginazione per cambiare la tua immagine di te stesso. La visualizzazione è efficace per rimpiazzare la tua vecchia immagine limitante con una nuova immagine potenziante. Chiudi gli occhi e pensa a te stesso come vuoi essere avendo in mente la tua nuova credenza potenziante. Vediti sicuro di te, realizzato, coraggioso e di successo. Presto non dovrai più “inventare” questi sentimenti, ma finirai per sentirti veramente così in modo naturale. Ovviamente questo esercizio sarà più utile se lo eseguirai tutti i giorni, anche soltanto per pochi minuti.

Buon lavoro e… alla prossima!

Dott. Salvatore PANZA


P.S.: Se avete dei quesiti da porre a Salvatore Panza inoltrateli direttamente alla casella di posta del Dottore: salvatore_panza@virgilio.it. Per altre informazioni visitate il sito: www.salvatorepanza.it oppure telefonate al: 340.2351130.

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Sapete affrontare un colloquio di lavoro? Quali sono le domande che vengono poste più di frequente ad un colloquio di selezione? Nonostante ogni colloquio sia diverso dall’altro, ci sono delle domande fondamentali ricorrenti a cui dovete prepararvi prima di affrontare questa prova. Spesso le domande più semplici sono quelle che nascondono le maggiori insidie: fate attenzione quindi e leggete i miei consigli per non farvi cogliere impreparati.

Ecco la lista delle domande più frequentemente formulate dai selezionatori con relativi suggerimenti per formulare la propria risposta nel migliore dei modi: 


·
"Mi parli di lei…": bisogna rispondere brevemente, distinguendo la vita familiare, la formazione, le precedenti esperienze lavorative e tutto ciò che si è fatto negli ultimi anni. Evitare tutto ciò che non riguarda il caso personale. Non divagare.

·“Come mai ci ha mandato il Curriculum Vitae? Cosa la spinta a rispondere al nostro annuncio?”: vi rivelo la frase che tutti i selezionatori vorrebbero sentirsi dire: ho mandato il cv perchè io voglio  questo lavoro…è ciò che ho sempre cercato e voluto…. e non ho nessuna intenzione di farmi sfuggire questa opportunità!

· "Perché vuole lavorare con noi?": presentare le proprie motivazioni in rapporto al contenuto professionale del posto di lavoro. Poi bisogna manifestare la propria stima nei confronti dell'azienda, dei suoi obiettivi e dei suoi metodi di lavoro. Non adulare esageratamente!

· "Quali sono i suoi punti di forza?": darne due o tre (tratti che piacciono in generale: intelligenza, flessibilità, onestà, simpatia/empatia, l’essere allineato con la cultura aziendale, team player, piacevole, leader, motivazione, ecc.), quelli che sono più utili alla funzione che è stata proposta. Per essere credibili, bisogna però provare quello che si afferma.

· "Quali sono i suoi punti di debolezza/di miglioramento?": trasformare un punto di forza in una debolezza, tipo”A volte pretendo troppo dalla gente, sono abituato a lavorare a certi standard e non tutti sono allo stesso mio livello” .. 

· "Quali hobby pratica?": citare quelli che denotano dinamismo. Evitare di enumerarne troppi perché altrimenti l'interlocutore potrebbe pensare che per il candidato lo svago conti molto più del lavoro.

· "Che cosa legge?": a meno di non leggere nulla, indicare alcuni periodici e riviste vicini al settore economico dell'azienda. Dare poi una lista di libri di generi differenti.

· “Mi parli delle sue capacità di lavorare sotto pressione”: Puoi riferire che dai il meglio di te quando sei sottoposto ad alcuni tipi di pressione. Fornisci un esempio che sia collegato alla posizione per la quale vieni intervistato. Sii positivo. Puoi lavorare bene sotto pressione, puoi eccellere sotto pressione e puoi anche preferire di lavorare sotto pressione.

· "Per quale tipo di lavoro si sente pronto?": bisogna rispondere in funzione del posto per cui si è in corsa, rimanendo se stessi e non indossando i panni di una persona estranea, adattandosi invece alle aspettative dell'interlocutore.

· “Dove si vede tra 3 – 5 – 10 anni?”: Assicurate l’intervistatore che volete prendere un impegno di lungo periodo, che la posizione è quello che cercate ed è quello che sapete fare bene.

· "Quale sarà la sua strategia per sviluppare il suo ruolo nell'azienda?": e' opportuno mostrare un atteggiamento a metà strada tra l'ambizioso e il paziente. Il messaggio di fondo è: il mio primo obiettivo è quello di riuscire nella missione che mi viene affidata, contribuendo allo sviluppo dell'azienda e al raggiungimento di un'efficienza sempre maggiore.

· "Perché in questa occasione e' stato licenziato?" (o: "Perché ci ha messo così tanto per laurearsi?"): il selezionatore non fa passare inosservati i buchi nel curriculum. Occorre spiegarne le circostanze con calma e serenità, pronti ad assumersi le proprie responsabilità senza ricorrere alle circostanze e alla fortuna.

· “Perché ha scelto di seguire questo corso di studi?”: L'obiettivo di questa domanda è valutare se il percorso di studi è stato motivato da una scelta ben precisa, da un'ambizione (risposta positiva) oppure no (non ha scelto, è stato costretto dai genitori, ecc… ovviamente risposta sbagliata!).

· "Perché si sente la persona giusta per questa posizione?": indicare tutte le caratteristiche personali in qualche modo collegate (o collegabili) a questo ruolo. Per esempio, se l'incarico riguarda l'ufficio commerciale, è il caso di sottolineare l'esperienza nel settore e la facilità nell'intrattenere relazioni con gli altri.

· "Quali sono le sue aspettative economiche?": è necessario dimostrarsi rispettosi dello standard retributivo vigente in azienda e, di conseguenza, si preferisce ottenere più informazioni su questo aspetto prima di fare una proposta. Avanzare, in ogni caso, con prudenza.

· "Quali sono le sue motivazioni al cambiamento?": l'ideale è rispondere che si cercano maggiori responsabilità ed autonomia, oltre ad obiettivi meglio definiti da raggiungere. Piuttosto che parlare male della società per la quale si ha lavorato o si lavora, affermare invece che si cerca di più. Che è la voglia di crescere professionalmente la principale spinta al cambiamento.

· “Si considera una persona di successo?”: La risposta è “Si”. Illustra brevemente il perché. Una valida spiegazione è che ti sei posto degli obiettivi, alcuni dei quali sono stati raggiunti e ora ti stai impegnando per realizzare anche gli altri. Il tuo capo ti ha espressamente riconosciuto di aver raggiunto degli importanti traguardi.

· "Ha contattato altre aziende?": il tuo obiettivo è svincolare la risposta. La risposta ideale e': "Ci sono sicuramente altre strade interessanti da percorrere, ma in questo momento quello che mi interessa di più è il ruolo di cui stiamo parlando in questo momento".

· "Che cosa pensa della sua ultima posizione?": può essere un tranello. Anche se ci si è lasciati male con l'ex capo, non è il caso di fare pettegolezzi o esprimere rabbia e risentimento. Si deve cercare di fare un bilancio il più positivo possibile dell'esperienza passata, sia professionalmente che umanamente.

· "Qual è stato il suo apporto professionale nell'ambito della sua ultima posizione ricoperta?": con questa domanda si vuole entrare nel merito. Nella risposta è utile usare un linguaggio tecnico, illustrando il contenuto della propria mansione e il contributo offerto. Bisogna fornire delle cifre, dei resoconti chiari di tutti i risultati positivi raggiunti.

· "Sarebbe in grado di dirigere un'équipe?": potrebbe essere una domanda trabocchetto. L'ideale è citare le esperienze di lavoro in team che si sono rivelate positive e la propria attitudine a lavorare con gli altri.

· "Se dovesse reclutare dei collaboratori, quali criteri userebbe?": si può rispondere che, dopo aver verificato le loro competenze tecniche, si selezionerebbero le persone attive, adattabili e con capacità di iniziativa, senso di responsabilità e spirito di squadra.

· "Qual è la sua società dei sogni?": un pizzico di ipocrisia non guasta. Affermare, mostrando convinzione, che la società che offre il posto per cui si è in lista, ha dei notevoli punti di forza. Si possono citare, ad esempio, la validità dei prodotti, la qualità dei servizi offerti, le scelte strategiche, le politiche gestionali, bla bla bla.

· "Lei continuerà a formarsi professionalmente?": certo che si', chi non segue dei corsi specifici può sempre tenersi informato, leggendo la stampa del settore e tenendosi sempre pronto a partecipare a dei seminari o agli incontri di aggiornamento.

· "Quali sono state le sue esperienze negative?": inutile negare il fatto che ci siano state delle esperienze negative. Meglio invece raccontarli con distacco, dimostrando di averli superati e di averne tratto un utile insegnamento. Fa una buona impressione chi dimostra di essere ripartito con il piede giusto.

· "Che interesse avrebbe la nostra azienda ad assumerla?": far corrispondere le proprie competenze alla figura professionale che si dovrebbe ricoprire in azienda.

· "E' pronto al trasferimento?": e' una domanda che serve spesso al selezionatore per comprendere il grado di motivazione. Si può rispondere che la motivazione c'è, compatibilmente con l'interesse della posizione offerta.

· "Non pensa di avere troppo poca esperienza?": non negare l'evidenza, se si è giovani o al primo impiego. Sottolineare, invece, come il proprio entusiasmo e la propria voglia di fare possano compensare la scarsa esperienza. Dichiararsi disponibili ad imparare anche dai propri colleghi: imparare da tutto ciò che può renderci operativi nel più breve tempo possibile.

· "Preferisce lavorare da solo o in gruppo?": rispondere che l'isolamento serve per riflettere, risolvere un problema, fare certe scelte; ma che lavorare in gruppo è necessario per analizzare i risultati, valutare i progetti e ottenere dei miglioramenti.

· "Vuole aggiungere qualcosa?": evitare di dire di no, ma aggiungere delle informazioni circa il proprio profilo professionale, le aspettative e le esperienze, oltre che per chiedere altre notizie sul nuovo posto di lavoro e sul settore di cui si occupa. Solo così si chiude in bellezza.

· Ed infine “Attenti alle prove di gruppo”: mostratevi intraprendenti, leader, solutori di problemi, prendete spesso la parola, siate positivi, concetrati sull’obiettivo e non perdere tempo, cercate di farvi seguire dagli altri piuttosto che il contrario. Al selezionatore non interessa tanto la soluzione giusta del problema piuttosto le dinamiche relazionali di gruppo. Se l’azienda, ad esempio, sta cercano un leader, una persona che dovrà assumersi delle responsabilità importanti, che dovrà guidare altre persone, il selezionatore cercherà, al di là della preparazione tecnica (indispensabile), la persona che possiede le caratteristiche caratteriali adeguate a quel ruolo. 

Credo di avervi svelato informazioni importanti ed utili. Non mi resta altro che augurarvi “Buona fortuna!”.

 

 

 

P.S.: Se avete dei quesiti da porre a Salvatore Panza, inoltrateli direttamente alla casella di posta del Dottore: salvatore_panza@virgilio.it. Per altre informazioni visitate il sito: www.salvatorepanza.it oppure telefonate al: 340.2351130.

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